LIBRI - Le parole di Tornatore
A volte la necessità di semplificare la personalità di un cineasta capace di avere un forte impatto popolare come Giuseppe Tornatore, nega al soggetto preso in esame una complessità, una ricchezza e un’unicità di sguardo e di prospettive che, ad un livello analitico più profondo e sostanziale, emergono e si associano ricomponendo il ritratto intima e quasi segreto non solo di una personalità, ma di un mondo, un universo, un oceano di segni e significati.
Risulta dunque coraggiosa e inusuale l’operazione di questo libro-fiume che raccoglie una serie di saggi elaborati da ricercatori e studiosi di diverse università italiane, tanto per la scelta del personaggio che si è scelto di esaminare quanto per il modo in cui viene portata avanti l’indagine. Partiamo dal titolo: Le parole di Tornatore pone subito una questione semiologica chiara, nel trasportare il linguaggio delle immagini tornatoriane, così potenti e riconoscibili, nella dimensione del discorso e della riflessione attraverso la parola.
E la parola, l’interpretazione della parola, assume il ruolo di chiave di lettura di ogni saggio e, di conseguenza, di una comprensione altra del cinema di Tornatore.La linea di demarcazione viene data fin dal saggio iniziale di Federico Giordano in cui Tornatore viene definito, nella prima di tante dicotomie, retore e nomoteta, rifancendosi per entrambi i concetti alla cultura classica greca e latina,con il continuo rimando all’arcaicità delle radici "siciliane" del regista di Bagheria.
E se per quanto riguarda la funzione "retorica" del linguaggio,l’aggancio con la definizione di padronanza assoluta e capacità organizzativa e di controllo del discorso esemplifica l’utilizzo intelligente che Tornatore fà di questo strumento, associata ad una naturale predispozione a mettersi al servizio del discorso stesso in funzione della platea fruitrice(da qui la felice definizione di regista "regolato" e non solo "regolatore"), la spiegazione del ruolo del nomoteta è ancora più interessante nel confondere i piani di semplicità e ambiguità di quest’autore. "Nomoteta" nel dialogo platonico del Cratilo è colui che inventa i nomi secondo le loro qualità naturali, partendo dalla funzione delle cose,dalla loro essenza intima, all’opposto del lavoro compiuto dal "dialettico" che invece adatta ad un uso specifico, scollegando il nome dalla cosa.In quest’ottica Tornatore è un nomoteta, ma nomoteti potremmo definire anche gli autori degli altri saggi che attribuiscono a colui il quale hanno scelto dedicare quest’indagine speculativa o,se non direttamente, a lui alle forme, alle tematiche e alla ricerca delle poetiche del suo cinema dei nomi e delle parole che si avvicinino all’essenza profonda del lavoro tornatoriano sulle immagini e sul racconto e che rispettino il suo non essere dialettico, il non piagare la sua personalità all’uso e consumo della crtitica.
La contraddizione tra i concetti di "Autore" e quello che potremmo definire "Artigiano dell’immagine", più legato all’aspetto tecnico del linguaggio, in una concezione svincolata da una forte impronta ideologica e psicologica di cui il cineasta pervade la sua opera, imprimendo le sue inconfondibili impronte digitali, è espressa in modo particolarmente incisivo nel saggio intitolato "Torna-autore" di Marco Benoit Carbone dove l’assegnazione di questo ruolo inedito nel panorama cinematografico attraverso l’apparentemente effimero gioco di parole segna una sorta di anello di congiunzione tra la tendenza della critica a voler ricercare la paternità assoluta dell’opera- il nome del regista sopra il titolo del film- e il superamento di una sterile e limitante querelle-un pensiero singolo di autore per un singolo testo?-nell’approccio al testo filmico come polifonia di contributi tecnici, umani, di suggestioni provenienti da una serie di esperienze culturali e sociali che paradossalmente, e pur nella ricchezza, fanno di Tornatore quello che Carbone definisce l’autore debole o,meglio, l’enunciatore, una sorta di mediatore del senso dell’opera in rapporto con le persone reali cui è destinato il livello concettuale ed ideologico. A volte si ha come l’impressione che se come metteur en scene, grazie alla citata arte della retorica, Tornatore possegga in pieno il timone della nave e la capacità di mantenere la rotta, quando viene toccata la piaga autoriale, oltre che "debole", una parola che sepeggia tra le righe è quella di "passivo" e di "passività" rispetto al ribollente, scottante materia toccata e svicerata dalla mdp. Nell’ulteriore dicotomia concettuale che attravera il libro, il cinema di Tornatore sembra confluire nell’asetticità quasi impersonale della mdp e nella fragilità,quasi vulnerabilità dello sguardo personale. Sempre Carbone pone un paralello intrigante tra il rapporto di Tornatore con la critica e la relazione di fascinazione che lega Maddalena Scordia a Renato Amoroso in Malena,ovvero l’immagine che costruisce fantasie, desideri, crea attese (Carbone parla di "disattese") ma poi ad un livello masturbatorio. In un’altra parte del libro il saggio di Francesco De Chiara affronta proprio il meccanismo di iperbole che Tornatore applica all’interno del racconto di genere, a questa necessità o, come sostiene lo stesso Tornatore esplicitamente citato, alla "Non paura di raccontare in modo spudorato alcuni modi di sentire", con la citazione specifica da parte di De Chiara de Il camorrista e La sconosciuta, due opere dove la fusione e l’incontro di più generi e più tendenze cinematografiche (il noir,il melodramma, il gangster-movie, l’horror), prendendo come pretesto la cronaca nera e l’attualità (la biografia di una boss della camorra, lo sfruttamento della prostituzione dell’Est Europa), lasciano entrare quel travolgente modo spudorato di raccontare.
C’è pero chi, come Francesca Saffioti che titola il suo saggio "Soggetto", cerca sotto la cenere lasciata dal fuoco del melodromma iper-bolico lo spessore ideologico,morale, filosofico che aleggia come un fantasma su ogni saggio, nell’interpretazione nietzschiana del personaggio di Novecento in relazione al significato delle immagini di Tornatore, alla necessità di porre il proprio sguardo, partendo da una citazione del grande filosofo tedesco ne La gaia scienza, dentro l’orizzonte dell’infinito.
Nella soggettività molteplice,ciclica,espressa nella musica dell’eterno navigante(ed eterno ritornante) protagonista de La leggenda del pianista dell’oceano la Saffioti sintetizza e compie la ricerca tornatoriana della cornice,del racconto,dell’orizzonte che si staglia, delimita, dà un senso all’infinito. La possibilità di continuare a guardare oltre può essere data solo dalla necessità di porsi dei limiti. Magari non vuole essere questa l’idea riassuntiva di tutta l’esperienza cinematografica di questo autore ancora in viaggio, ma è una bella immagine con cui salutare la lettura di questo libro.
Autore: a cura di Federico Giordano
Titolo: Le parole di Tornatore
Editore: Città del sole Edizioni
Collana: Lo specchio scuro - cinema/controluce
Dati: 270 pagine, copertina rigida
Anno: 2007
Prezzo: 15,00 euro
Web info: Sito Città del Sole Edizioni