LIBRI - Michelangelo Antonioni
Chi è ancora convinto che il cinema sia fatto essenzialmente di immagine, luce, suono, colore e che partendo da questa essenza
sia possibile esplorare la rarefatta, insondabile verità delle emozioni e dei sentimenti nascosta dentro gli esseri umani e manifestata nella percezione soggettiva di realtà fenomenologiche che spesso accolgono e cristalinizzano questa verità, dovrà essere per sempre grato a Michelangelo Antonioni. E questa graditudine trova un’espressione particolarmente ricca e interessante nel bellissimo libro monografico che la Regione Emilia Romagna, grazie alle Edizioni Falsopiano, ha deciso di dedicare all’universo di visioni, pensieri e riflessioni del cineasta ferrarese: un omaggio che oggi, all’indomani della sua scomparsa, acquista un valore documentale e storico ancora superiore.
Bisogna però sgombrare subito il campo dalla possibilità di un fraintendimento: questa raccolta di saggi, interviste, ritratti e analisi contenutistiche e formali del linguaggio antonioniano potrebbe essere stata pubblicata quarant’anni fa, così come se ne potrebbe riparlare tra cinquant’anni o nel 2050, tanto per intenderci. E la ragione è semplice e complessa al tempo stesso, identificabile con la stessa natura e il valore dell’opera del personaggio di cui parla il libro.
I viaggi, le "avventure", le fughe (termine che ritorna spesso nell ’articolato saggio di Luca Pasquale sul periodo che va da Cronaca di un amore per arrivare all’utilizzo del colore in Deserto Rosso) dei personaggi, in particolare femminili, osservati, scrutati, impietosamente denudati dallo sguardo di Antonioni non avvengono sul piano di una realtà spaziale e temporale definita secondo la logica razionale, tendente alla spiegazione e alla certezza di tutte le risposte sul quando e sul dove. Di conseguenza, diventa riduttiva pure la definizione di omaggio quando si ha a che fare con un libro che riguarda Antonioni, perchè si è portati a ritenere che l’omaggio sia qualcosa di chiuso, definitivo, rivolto ad un passato metabolizzato e risolto.
La verità è che si tratta di un libro imperniato di pensiero e di vita, e, mentre si porta avanti la lettura pur tra le varie parti e sezioni in cui è diviso, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una grade cantiere in costruzione, un work in progress dove vengono offerti stimoli e impulsi per tentare di penetrare certi codici estetici e narrativi, mantenendo sempre lo spazio per elaborare altre riflessioni, altri pensieri. C’è, insomma, l’impronta del cinema di Michelangelo Antonioni e c’è
anche la possibilità di poter accogliere direttamente la sua parola, grazie alla meravigliosa, emozionante intervista che il maestro rilasciò a Jean-Luc Godard, qui nelle vesti di interlocutore che fa riflettere e cerca di comprendere, senza dubbio tra gli autori a cui maggiormente è legato da un doppio filo rosso nella ridefinizione del concetto di modernità attraverso l’immagine filmica e nella continua ricerca dei limiti e delle potenzialità della visione.
La conversazione, tenuta durante la Mostra del Cinema di Venezia del 1964, verte intorno a Il deserto rosso e si apre con un risposta ad una domanda di Godard che probabilmente potrebbe supportare l’idea di valore in continua evoluzione di una qualsiasi riflessione critica su Antonioni e il suo cinema. All’interrogativo su dove sia giunto con Il deserto rosso, Antonioni afferma che gli riesce "molto diffcile parlare di questo film, adesso" perchè si sente ancora "troppo legato" alle intenzioni e che l’unica riflessione che può permettersi è il riconoscimento di un superamento rispetto alle tematiche affrontate nei film precedenti- L’avventura, La Notte e L’Eclisse - incentrati sui rapporti dei personaggi tra di loro e sull’incapacità di comunicare i sentomente in una maniera viva, reale, sana. Il deserto rosso non è un luogo, come dice Godard, dove a un certo punto, seguendo una linea retta sono arrivate tutte le insofferenti e fuggitive donne del suo cinema-Anna, Claudia, Lidia, Vittoria- intrappolate dentro la nevrosi alterante i colori, le forme e i suoni di Giuliana ma un nuovo punto di partenza o forse il punto di partenza da cui dovrebbe ricominciare tutto il cinema che vuole contenere arcaicità e innovazione, il vecchio e il nuovo mondo, la bellezza della natura e il delinearsi di un nuovo paesaggio inglobante l’aspetto industriale, tecnico, scientifico, la constatazione della meraviglia che può esserci anche nel design di una fabbrica.
Pasquale nella parte del suo saggio, la più estesa, dedicata alla trilogia dell’incomunicabilità parla di "malattia dei sentimenti" (L’avventura), "morte dei sentimenti" (La notte) e "inesistenza dei sentimenti" (L’eclisse), L’Antonioni stimolato da Godard ammette la metamorfosi, il cambiamento dei sentimenti che si compie con Il deserto rosso.
Una rinascita o rigenerazione filmata, ricostruita, ricolorata dall’occhio oggettivo, distaccato, asettico, capace dunque di ricreare la percezione interiore del mondo esterno da parte di una nevrotica che, come dice sempre Antonioni, "trova un compromesso", forse il momento di lucidità "che può durare tutta la vita" ma, sostiene ancora, alla fine del film si trova in una "fase statica" e per sapere cosa sarà di lei rimanda alla realizzazione di un altro film.
In questo perpetuo sentimento di sospensione, staticità e vuoto sollecitato dal confronto in particolare con l’Antonioni della maturità e della consapevolezza degli anni settanta non risulta assolutamente stonato, termine quanto mai appropiato, il discorso sul rapporto tra Antonioni e la musica e Antonioni ed il suono in due saggi, uno di taglio più critico-storico, l’altro prettamente analitico. Il primo, di Roberto Calabretto, smonta il luogo comune secondo cui Antonioni sia avverso all’utilizzo della musica nel suo cinema, ribadendo invece il valore sovversivo e rivoluzionario che anche in questo campo ha avuto una ricerca puntuale, elaborata, creativa sul suono tout-court. Antonioni semplicemente negava l’utilizzo della musica come strumento di supporto, commento o, ancor peggio, esaltazione del valore emotivo che le immagini devono contenere compiutamente in sé. Il commento musicale dotato di valore autonomo rispetto all’immagine è qualcosa che di conseguenza non può essere cinema, creando una divisione, un’incompatibilità tra quello che Calabretto definisce "puro ascolto" contro la "pura visione" (Antonioni sosteneva di non amare molto i concerti perchè l’immagine dei musicisti lo distraeva dall’ascolto).
Che questo non implichi un’assenza di commento sonoro nella
filmografia antonioniana lo esemplifica con perfetta precisione l’altro saggio di Paolo Giacomini che identifica la perfetta coesistenza dell’elemento-suono con le immagini auspicata da Antonioni ne L’eclisse, attraverso un’operazione complessa, che si consiglia di seguire con una visione e con un ascolto vivo del film in testa, di scomposizione del montaggio inquadratura per inquadratura associata a una scomposizione della colonna sonora composta da suoni diegetici ed extradiegetici, non sovrapposti, invasivi o distraenti dal significato che sottintende l’alternarsi dei campi vuoti e silenziosi, delle figure riprese tra i paesaggi desolati, ma portatori di quello stesso significato che semmai svela un ulteriore livello di consapevolezza e di verità dell’immagine. Per questo Antonioni curava il montaggio del suono, come i rumori del mare che si sentono ne L’Avventura, perchè anche il suono deve esprimere un’intenzione, seguire una direzione, condurre una ricerca.
A completare il quadro e ad offrirci una suggestione ancora nuova, pensa poi l’intervista del poeta, sceneggiatore, amico Tonino Guerra, che parla di "un lato struggente e romantico di Michelangelo, una delle cose che ha sempre cercato di nascondere o di regale in un’altra maniera" e fa capire come l’immagine degli uccelli morti e le nuvole di fumo delle ciminiere fossero gli elementi di un poema visivo segreto, il segno, il regalo di una commozione trattenuta, da leggere tra le gradazioni del colore e dello sguardo impietoso.
Immagine che diventa ricordo, anche non si può ricordare un’esperienza umana e artistica che continuerà a essere viva sempre, adesso, nel presente.
Autore: Giacomo Martini (a cura di)
Titolo: Michelangelo Antonioni
Editore: Edizioni Falsopiano/Regione Emilia-Romagna
Collana: Una Regione piena di cinema
Dati: Pagine 335
Prezzo: 15 Euro
Web info: Edizioni Falsopiano