Libri - Naziskino, ebrei ed altri erranti

Naziskino non è un libro sulla Shoah nel cinema anche se non ci vuole molto ad accorgersi di come il genocidio degli ebrei sia il fantasma occulto che muove le file di ogni singola parola.
Non è nemmeno uno studio sul solo cinema del periodo nazista con le sue pagine vergognose che annoverano titoli atroci come Süss l’ebreo (Jud Süß) o The ewige Jude e le sue operette frivole di stampo viennese. Eppure, il cinema patrocinato da Goebbels è esaltato sin nel titolo ancor prima della parola Ebrei.
Non si propone neanche come studio esaustivo sul cinema Yiddish anche se a questo vero e proprio filone misconosciuto della storia della settima arte che è andato ad estinguersi nei forni in compagnia di sei milioni di individui è dedicato un capitolo fondamentale.
Si fa presto a dire cosa non è Naziskino. Più difficile, per il critico in cerca di definizioni, dire che cosa è. E diventa facile la tentazione di salvare capra e cavoli buttandosi nel tentativi di dire cosa è “anche” Naziskino. Perché la fatica postuma di Ugo Casiraghi (mai troppo compianto nume tutelare della critica cinematografica italiana) è “anche” un libro sulla Shoah nel cinema, è “anche” uno studio sul cinema di propaganda ai tempi del nazismo, è anche una rievocazione del cinema yiddish ed è, andando oltre, “anche” una sottile riflessione autobiografica (come sottintenderebbe il bel capitolo Milano, gennaio 1982. In piedi che rievoca i tempi in cui al cinema c’era così tanta gente che i ragazzi restavano in piedi a vedere un film) come pure una ridefinizione dei modelli divistici del Reich (Emil Jannings in testa) e molte altre cose.
In effetti la lettura di Naziskino ha qualcosa di sfuggente ed ambiguo, qualcosa di fecondo ed arcano che appaga e lascia, al tempo stesso, con una sensazione di “fame”. Il libro suona reticente proprio mentre racconta. Ha qualcosa di pudico e qualcosa di spudorato. È ragionato, forgiato nel lavoro di anni di studio e di decine di revisioni (l’ultima delle quali postuma) eppure, al tempo stesso, appare urgente e bruciante.
Molto dipende, probabilmente, dal tono con cui lo scrittore intrattiene il suo pubblico, dal modo di porgere e raccontare i complessi intrecci della storia che avvera un miracoloso equilibrio di cronaca e minuzia, di affresco e di dettaglio.
Ugo Casiraghi racconta con la passione calma di chi è stato a lungo coi suoi documenti ed ha avuto modo di accarezzare le sue carte e le sue foto. Racconta lo ieri non come fosse un oggi (quindi attualizzando), ma con la precisa cognizione che il tempo passato sa riempire di una nostalgia inattesa (quindi contestualizzando). Ugo Casiraghi, in fondo, parla anche della sua infanzia e non è cosa da poco che questa infanzia stia ad un passo dai campi di sterminio. Come non è cosa da poco che Pabst abbia potuto stringere la mano a Valentin e che la sala che proiettava prima Kuhle Wampe abbia poi ospitato Triumph des Willens.
Ugo Casirgahi entra nelle contraddizioni della storia che non è mai lineare, né coerente e ce ne restituisce un quadro che è tanto caotico quanto tristemente vero. Osserva come attori ariani riuscissero ancora a sposare attrici ebree (anche se questo comportava l’esclusione da ogni evento mondano e quasi la fine di una carriera) e si impantana non senza dramma nella dolente ambiguità dell’arte che volle Kurt Gerron, ebreo a Theresienstadt, a dirigere un documentario, Hitler regala una città agli ebrei, che gli valeva un biglietto per un treno piombato diretto ad Auschwitz.
Lo storico si getta a corpo morto negli orrori di quel presente e ci fa sentire sulla pelle la confusione che lo permeava e l’incertezza che lo alimentava.
L’amore per il "cinema nonostante tutto" che trapela da queste pagine si chiude, però, su un interrogativo inespresso eppure sempre presente: come possono le immagini, così facilmente manipolabili, così permeabili alla propaganda e alla deformazione, parlarci ancora di qualcosa di vero? Con quali guanti dobbiamo prenderle per capirle, decifrarle, amarle? Come possiamo salvarci dall’ambiguità di un secolo di eufemismi e mezze parole dove ognuno poteva scivolare rompendosi l’osso del collo?
Casiraghi ci accompagna per mano in questo mondo cui il senno del poi stenta a donare un poco di senso. E, nel farlo, si arma di un’onestà intellettuale ammirevole che cede il passo a pochi punti davvero inerti (il primo capitolo non riesce ad essere completamente un ouverture all’orrore come sarebbe intenzione dell’autore). Un’onestà che, forse, però, e qui sta il dramma vero, non può bastare ad un mondo in cui l’ambiguità era all’ordine del giorno. Del resto Süss, in tedesco, è anche aggettivo. Vuol dire dolce. E ci fu chi tradusse il titolo del peggior film di propaganda della storia dell’antisemitismo con Dolce ebreo.
Autore: Ugo Casiraghi (a cura di Lorenzo Pellizzari)
Titolo: Naziskino, ebrei ed altri erranti
Editore: Lindau
Collana: Saggi
Dati: 288 pp, copertina morbiba, 84 foto b/n
Anno: 2010
Prezzo: 24,00 €
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