Libri - Paradise now! Sulle barricate con la macchina da presa.

A tanti anni di distanza, il 1968 e il clima che ne scaturì assumono contorni sempre più sfuggenti, che la memoria storica ridefinisce a seconda delle mode e degli interessi dell’ora, senza riservare troppa attenzione allo scarto fra questioni sociali, politici ed economici. Per quanto quel decennio, che si proponeva di stravolgere il volto del mondo, abbia visto il suo mito appannarsi sempre di più, spesso proprio negli sguardi di coloro che ne erano stati i cantori, non sembra del tutto venuta meno (almeno da parte di quegli intellettuali che non hanno optato per la radicale rimozione) il desiderio e la necessità di confrontarsi con le complesse diramazioni che da lì si sono sviluppate, finendo spesso per assumere connotati autonomi.
Attraversando dieci anni di utopie e lotte, rivoluzioni del costume e dell’estetica, sogni terzomondisti e riflessioni nostrane, Maurizio Fantoni Minnella si propone di porsi al di là delle prese di posizione arbitrarie, per scandagliare nel profondo le modalità con cui (da subito e per tutti gli anni successivi) l’arte in generale e il cinema in particolare hanno consumato e rielaborato i fermenti di lotta e di rinnovamento di una delle stagioni più vive della storia recente. A sorreggere il quadro, che si frammenta volutamente nella disamina delle esperienze diverse, talvolta contraddittorie, che animarono anni ricchi di luci e di ombre, vi è la tesi che il Sessantotto abbia contribuito in maniera sostanziale allo stabilizzarsi di quei diritti di cui ancora oggi, spesso inconsapevolmente, godiamo, rappresentando una scommessa di libertà, forse irripetibile nei suoi caratteri, ma ancora potenzialmente viva e pulsante nelle sue istanze ultime (“Far crescere un Vietnam dentro se stessi”, scriveva Godard, sorta di nume tutelare del movimento).
In Paradise now! Sulle barricate con la macchina da presa, edito da Marsilio, l’anima del critico si mescola a quella del saggista, nel bilanciamento attento delle analisi filmologiche e delle riflessioni di carattere storico politico, che ci restituiscono il quadro fitto e assai variegato delle relazioni fra cinema e realtà sociale, rispetto ad un periodo storico di cui l’arte è al tempo stesso strumento di indagine e massima espressione. Se meno spazio è dedicato alla letteratura della beat generation, Minnella riserva invece un ampio capitolo al tema della musica, forse la forma artistica che meglio di tutte ha incarnato lo spirito del tempo, veicolando le emozioni e il sogno di cambiamento di milioni di giovani attraverso l’assunzione di temi e forme radicalmente nuovi, destinate a ridefinire, in modo non reversibile, le modalità di produzione e fruizione tradizionali. È il cinema però il punto di partenza da cui si sviluppa la riflessione di Minnella: le esperienze dei cineasti italiani (da Bellocchio a Bertolucci, da Pasolini ad Antonioni), che si ritrovarono immersi in quel contesto culturale e scelsero di diventarne parte attiva, sono rivisitate attraverso l’analisi del coacervo di stimoli e di ispirazioni (le opere militanti di Jean-Luc Godard e il Living Theatre, le vicende cinesi e la guerra del Vietnam, la cultura hippie e la new Hollywood) che le animarono, mescolandosi alle tematiche della lotta generazionale e degli scontri di piazza, in opere dalle forti valenze sperimentali. Se, eccezion fatta per alcuni indiscussi capolavori (come “I pugni in tasca”) la radicalità delle aspirazioni, nel tentativo di approntare strumenti linguistico-formali nuovi, non sempre ha dato luogo a esiti memorabili, Minnella coglie con precisione la complessa dialettica che si istituisce fra creazione artistica e contesto culturale, mettendo a nudo lo scarto (allora non certo così evidente) fra il mondo degli intellettuali e quello delle fabbriche. Lo sguardo si allarga dall’Italia ai paesi dell’est Europa, alla primavera praghese e ai cineasti che, più o meno direttamente, si fecero interpreti del clima di dissenso (Milos Forman rimane il più famoso), non trascurando alcuni necessari rimandi alle vicende più recenti e, spesso meno conosciute, che hanno visto protagonista la classe politica ceca, accusata da più parti di essersi ormai allontanata dallo spirito della Rivoluzione di velluto. Imprescindibile fonte di ispirazione per gli autori che percorsero il loro apprendistato negli anni Sessanta e Settanta sono poi le lotte di liberazione che incendiarono il Terzo Mondo e la Spagna, creando un diffuso sentimento internazionalistico che condusse a spostare il baricentro dell’utopia nel sud America di Che Guevara (cui sono state dedicate una serie innumerevole di pellicole, fino alla torrenziale epopea firmata da Soderbergh).
Ineludibile è però anche la questione del rapporto fra il Sessantotto e la successiva stagione terroristica, che Minnella indaga con decisione, registrando come, in questo caso, la rielaborazione operata dagli intellettuali appaia ancora oggi decisamente carente, e gli stessi cineasti (anche qui naturalmente ci sono delle notevoli eccezioni, come nel caso di Anni di Piombo, il film più celebre di Margarethe von Trotta) si siano spesso limitati a illustrazioni malinconiche o troppo superficiali, incapaci di farsi carico in modo efficace di una riflessione attenta sui troppi lati oscuri ancora presenti. Tante sarebbero le domande e non sono soltanto queste le questioni irrisolti con cui Minnella ci lascia, spostando l’attenzione sul ruolo che, oggi, il cinema può forse ancora svolgere, rinnovando la sua anima, troppo spesso nascosta, di strumento di critica e grimaldello del pensiero.
Autore: Maurizio Fantoni Minnella
Titolo: Paradise now! Sulle barricate con la macchina da presa. Cinema e rivoluzione negli anni sessanta e settanta
Editore: Marsilio
Collana: Saggi
Dati: 192 pp, fotografie b/n
Anno: 2010
Prezzo: 17,00 €
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