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Libri - Roger Tailleur & Positif

Pubblicato il 29 gennaio 2007 da Alessia Spagnoli


Libri - Roger Tailleur & Positif

Negli anni più arroventati del dibattito critico francese, tra i contributi più notevoli e duraturi apportati alla discussione, figurano certamente quelli garantiti, parallelamente ai più noti Cahiers du Cinéma, anche dall’altra importante rivista di critica cinematografica nazionale, vale a dire Positif. Tra le principali firme all’interno di quest’ultima redazione, spicca il nome di Roger Tailleur, uomo dalle posizioni a volte anche molto distanti rispetto al sentire comune degli altri giovani critici-cinefili di quello scorcio temporale così cruciale, a reinquadrarlo ora, col senno di poi. A dividere, soprattutto, Tailleur dai suoi colleghi ’hithchcok-hawksiani’, intervengono orientamenti, non tanto politici, quanto il coinvolgimento personale stesso, dettato da una collocazione testimoniale diversa rispetto all’opera degli autori di riferimento. Il critico di Positif, in particolare, paga dazio all’atteggiamento da osservatore esterno, sempre distaccato e lucido, portato sugli anni critici della rivolta sessantottina e sui film prodotti allora. In questo, si può parlare persino di un’imprevista affinità di vedute col nostro Pasolini, il cui pensiero sulle rivolte studentesche è assai noto (e i più concordano oggi nel ritenerlo particolarmente lungimirante: ma non così, certamente, accadeva all’epoca, e lo stesso si verificava per Tailleur, altro ‘uomo contro’).
Sempre fedele a se stesso, il ‘nostro’ porta avanti riflessioni spesso inattaccabili, da qualsiasi angolazione li si osservi (e questo, nonostante quegli eccessi di giudizio, croce e delizia propri all’esercizio della critica più libera, che neppure a lui sono del tutto ignoti e che emergono qui e là, tra le pieghe del racconto).
Proprio scoprendo il venir meno di valutazioni coerenti e apolitiche, Tailleur si scaglia contro la nuova vulgata dei militanti Cahiers. Grande cultore e appassionato di film western (‘Il western è un genere, ma un genere a cui ci si consacra totalmente’), egli difende a spada tratta film spesso bollati superficialmente come reazionari, contro giudizi che individua, acutamente, come dettati più dal malanimo contro un Paese impegnato in guerre profondamente ingiuste (quella di Corea e del Vietnam) che non dagli esiti effettivi di film girati da registi prima canonizzati, come Howard Hawks, e in seguito abbandonati perché impegnati colpevolmente nella realizzazione di film di propaganda bellica.

In circa vent’anni, nel corso di un’attività febbrile, l’autore cui il volume a cura di Gianni Volpi è dedicato, brucia una mole impressionante di tematiche. Tailleur parla ‘a braccio’ per lo più di quanto maggiormente apprezza, nella Settimana Arte. Solo raramente, e in incisi spesso alleggeriti da una sottile venatura ironica-polemica, di ciò che non lo soddisfa o convince appieno.
Molti di questi scritti, quasi una sorta di diario segreto del cinefilo, sono stati evidentemente redatti di getto, con rapide annotazioni quasi a pié di pagina: si pensi a quei rapidi cenni polemici contenuti nel suo discettare su I Professionisti (magnifico western di Richard Brooks, ndr) ‘Il cielo è blu e la sabbia gialla, un cavallo è chiamato cavallo, ogni scena segue la precedente e precede la successiva […] Il racconto è democratico, proletario, antidiscriminatorio, è fatto per l’adolescente e l’intellettuale, l’abbiente e l’analfabeta … ’ qui si coglie chiaramente tra le righe l’ironia pungente di chi non ritiene che il ruolo del cinema moderno debba necessariamente esaurirsi nella sperimentazione continuativa, indicata specialmente dal battistrada Godard, dimenticandosi dell’altro ruolo tradizionalmente deputato del cinema: quello dello story-telling.

Una lettura agile e notevolmente interessante, in cui Tailleur sottopone al vaglio del suo giudizio sagace, la visione fresca (in un’epoca pre home-video, i film si recuperavano al chiuso delle varie sale dedicate ai film d’essai, disseminati su tutto il territorio parigino). Un illuminista della prima ora, insomma, di quelli non ‘corrotti’ dagli eccessi del ‘Terrore’ successivo.
Il volume antologico comprende recensioni a classici come Gioventù Bruciata, Dietro lo Specchio, Lassù qualcuno mi ama, La Parola ai Giurati, Rapina a Mano Armata, Il Mistero del Falco, ma anche a capolavori prodotti in Francia come Pickpocket, Il Buco, Fahrenheit 451. A impreziosire il volume, dobbiamo almeno menzionare rapidamente un interessantissimo contributo sulla Nouvelle Vague, quasi in presa diretta – Tailleur ama dialogare coi suoi grandi colleghi, anche e soprattutto quando le idee non collimano perfettamente – e sul cinema italiano (su Antonioni in particolare, ma anche Fellini, Visconti e Bertolucci).
Il volume è corredato, in chiusura, da saggi di Thirard e Ciment su Positif (ieri e oggi) e da quelli di Fofi, Mereghetti e lo stesso Volpi: critici blasonati che riflettono sull’importante lascito di Tailleur, individuabile soprattutto in quei precisi strumenti d’analisi ai film che ne guidano e sottintendono la visione.
Notevole, per la capacità dispiegata nello schizzare con precisione un’epoca e per la carica emotiva evocata, il saggio introduttivo in morte di Gary Cooper. Qui, il cinefilo innamorato della Hollywood classica e dei film di cowboy in particolare, non potrà fare a meno di commuoversi.


Autore: a cura di Gianni Volpi
Titolo: Roger Tailleur & Positif. Le opere e i giorni del grande cinema 1953-1970
Editore: Falsopiano
Collana: FAI cinema. Saggi
Dati: 607 pp, brossura
Prezzo: 20 euro
Web Info: Edizioni Falsopiano


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