Libri - Roman Polanski

Gran bella cosa la Politique des auteurs!
Costruito a tavolino dagli studiosi dei Cahiers du Cinema (critici che sognavano il salto dall’altro lato dello schermo cinematografico), questo nuovo modo di guardare al cinema metteva al centro del lavoro creativo che portava alla nascita d’un film, l’autore coi suoi rovelli, le sue idiosincrasie, i suoi vezzi e la sua firma a svolazzo in calce ad ogni inquadratura. Il produttore restava tra spesse parantesi, additato come un nemico necessario con una mano al portafogli e l’altra all’orologio.
Mettendo al centro di tutto l’autore, i teorici francesi hanno, però, finito per dimenticarsi il set. Luogo misconosciuto di finzione e di inganni, ma anche strumento necessario al conseguimento della creazione, questo informe conglomerato di luoghi e persone può essere visto, nella logica della politique, solo attraverso l’acuto sguardo organizzatore del regista.
I vezzi degli attori, le fisime del direttore della fotografia, le incertezze dello scenografo sempre pronto ad alzare le mani con la costumista sono accidenti da commedia, sono il trionfo del caos del mondo esterno che solo lo sguardo trasfigurante dell’autore può trasformare in armonia e racconto.
Fare film è, quindi, inteso come una lotta titanica che il genio intraprende col mondo. La vasta barca felliniana dell’incerto deve essere ricondotta al porto franco della creazione, dove non ci sono più onde anche se si respira tutto il profumo del mare.
Bella prospettiva da cui contemplare, a distanza, il processo creativo, quella dei teorici francesi, ma un punto di vista che fa perdere peso al senso di bottega, alla collettività che sta comunque dietro l’azione del girare un film. Ci si perde anche il senso di gioco, le complicità, l’affiatamento che si crea in un gruppo di persone che per qualche mese condividono un obiettivo.
E il regista si ammanta di un’aura romantica che lo rende troppo artista e poco uomo.
Se un merito dobbiamo rintracciare in questo monumentale catalogo curato da Stefano Francia di Celle su Roman Polanski in occasione della retrospettiva sull’autore ospitata nella passata edizione del Festival di Torino (ardua impresa per un volume che di meriti ne ha molteplici), questo sta proprio nella sua capacità di gettarsi a capofitto nella fucina creativa del set polanskiano. Attraverso una miriade di testimonianze raccolte tra i collaboratori del regista (pescando sia tra i più fidati che tra quelli occasionali, chiamati magari anche per un solo film) si compone, pagina dopo pagina, il ritratto poliedrico di un autore che non insatura titaniche battaglie coi suoi set, ma preferisce un franco lavoro di collaborazione creativa in cui ogni apporto può essere fondamentale. Anche quello di una segretaria di edizione che blocca una scena perché un elemento fuori campo non è al posto giusto.
Il succedersi degli aneddoti definisce il ritmo di un racconto che attraversa tutti i film in una serie di tappe sempre contrappuntate dalla sorniona ironia dello stesso Polanski che qualche volta indulge in nostalgiche considerazioni, altre volte si perde in elucubrazioni sulla distanza che si è venuta a creare, suo malgrado, tra la intentio autoris che lo aveva spinto a scegliere un soggetto e la direzione autonoma che la sua opera aveva cominciato a prendere contro la sua stessa volontà registica.
Puntello necessario al tutto sono, infine, i piccoli saggi scritti per ogni singolo film: pezzi dalla logica ampiamente divulgativa che rifiutano ad ogni piè sospinto il taglio cinephile e si concentrano su discorsi piani ed ampiamente documentati. Poche volte si ha l’impressione che falliscano il bersaglio.
Così il Polanski cantore della violenza metropolitana (un cantore che ritiene necessaria la messa in scena dell’orrore contro ogni proclama hitchcockiano che quello stesso orrore preferisce tenerlo fuori scena: ce lo dice Friedkin nella ballissima paginetta introduttiva) convive felicemente con il Polanski autore da teatro dell’assurdo. E allo stesso modo il Polanski illustratore (quello di Tess o di Oliver Twist) può prendere a braccetto l’autore dei primi corti astratti. Tutti figli di una stessa bottega, oltre che di uno stesso padre.
Per questo sguardo perennemente rivolto al set, nel volume l’apparato iconografico assume un peso inusitato. Gli scatti scelti dal curatore sono tutti di una bellezza mozzafiato e ci restituiscono, meglio ancora delle parole, l’atmosfera magica dei set di un regista quanto mai fondamentale come, in fondo, è Polanski.
Autore: Stefano Francia di Celle (a cura di)
Titolo: Roman Polanski
Editore: Il Castoro (in coll. con il 26° Torino Film Festival)
Dati: 288 pp; copertina morbida
Anno: 2008
Prezzo: 26,00 €
webinfo: Scheda del libro sul sito Castoro Editore
