Libri - Tecniche di Resurrezione

Immaginate uno di quei vecchi divanetti in tardo stile impero che spesso si trovano nelle ville di qualche tempo fa. Oppure immaginate uno di quei vecchi comodini Rococò in legno vecchio, con la laccatura che comincia a venirsene via come vernice seccata dal sole. Immaginatene le curve spiritose, le strane protuberanze che si gonfiano, nel legno, ad imitare foglie o piume di volatili. Immaginatene le linee sbarazzine che mascherano la funzionalità del disegno architettonico in figure che siano belle a vedersi ed anche un po’ leziose. Immaginate, insomma, tutte queste cose, ma fatelo con occhio di formica, fatelo dal basso, dall’infinitamente piccolo d’un essere rimpicciolito che si porti dentro, però, memoria del fatto che quell’immensa cattedrale che si ha di fronte, in altre proporzioni era poco più d’un oggetto d’arredo.
Ecco è questa l’impressione che ha il lettore nell’accostarsi alla lettura di Tecniche di Resurrezione, ultima prodigiosa fatica di Gianfranco Manfredi. L’impressione, insomma, di una sfida alle convenzioni che riesce, comunque, ad essere contenuta nello spazio franco, ma limitato del romanzo di genere. L’impressione di una lotta estenuata (ma non estenuante) con convenzioni che si piegano, ma non si spezzano. L’impressione di un accumulo di energia costretta all’interno di una forma, ma sempre sul punto di esplodere.
La parola che meglio si adatta a Tecniche di Resurrezione è, in effetti, tensione. Ma non nella vulgata generica di tensione di pancia, di quella che prova lo spettatore quando vede che il suo eroe è in difficoltà e sa che la soluzione e la salvezza sono lì a due passi. Piuttosto è una tensione di testa, uno sforzo a chiudere ciò che non può essere chiuso, a quadrare un cerchio che non può essere quadrato.
Prendi una sbarra di acciaio e fanne un bracciale: questo è Tecniche di Resurrezione.
Il primo braccio di ferro è quello con la Storia. Perché il romanzo di Manfredi è un’epopea storica. Vive nella ricostruzione del dettaglio, respira non della rievocazione di un periodo, ma della sua esatta ricostruzione. Il romanziere, novello demiurgo, affastella mattoncini di descrizioni minute, precise sino allo sfinimento. I teatri anatomici, gli ospedali, i quartieri londinesi e poi quelli parigini sono filtrati non dalla lettura dei romanzi coevi (non solo, perlomeno), ma dalle pagine dei saggisti e dalle colonne dei cronisti che poi diventano anche protagonisti e comparse del romanzo nella sua interezza. Essi forniscono non solo le parole, ma anche i personaggi del narrare. Sono parte integrante di un verosimile storico che non sconfina nel meraviglioso del racconto d’avventura per la sola ottima ragione che la realtà del tempo era già fantastica di suo e non abbisogna della cura del romanziere per farsi più avvincente.
Così Manfredi prende per mano la sua trama romanzesca e, inseguendo la sua storia tra l’Inghilterra e la Francia unite dal volo d’angelo di un pallone areostatico, si insinua nei meandri più perigliosi di una speculazione che rilegge i trattati medici del tempo (con particolare attenzione all’elettrogalvanismo) secondo una smaliziata visione già tutta novecentesca.
L’occhio contemporaneo l’offrono, comprensibilmente, proprio i due gemelli protagonisti di quest’ampio affresco: Aline e Valcour de Valmont. Due studiosi, due medici, due facce di una stessa medaglia. Figli di un settecento razionalista, certo, ma obbligati a confrontarsi con la bizzarria di un mondo che ha già dentro di sé l’Assurdo dei nostri romanzieri e drammaturghi. Un altro braccio di ferro impossibile.
Sono loro a confrontarsi col contesto storico-sociale della crescente tensione tra l’Inghilterra spaventata dalle avanzate napoleoniche e la Francia divisa tra bisogno di futuro e nostalgia per il trascorso fasto aristocratico. Doppia lente di contrasto, i personaggi vivisezionano il loro tempo ad uso dell’autore. Sembrano quasi gli occhiali con cui quest’ultimo guarda al suo passato fatto vivo dalle parole.
La prima lente, quella rosa, è la dimensione analitica della scienziata che crede solo a ciò che vede e rifiuta l’idea che si facciano esperimenti sugli animali vivi anche se lo scopo è quello di capire la potenza dei sonniferi per la nascente anestesia. La precisione, in lei, è fatta serva all’intenso bisogno di rimozione del lutto: il non poter credere alla morte dell’amato che si sposa all’invadenza della semplice constatazione della mancanza della salma.
La seconda lente, quella blu, si lega, invece, all’intuizione sposata alla pratica. Non l’analista, ma il medico che applica la conoscenza alla cura anche se questa è avveniristica e mai sperimentata. Figura tra le più affascinanti, Valcour de Valmont è meno scienziato e più dottore. Vive il suo tempo, che, paradossalmente, gli resta più sfondo che primo piano. Una cosa da capire più che un fluire nel quale immargersi come dimostra la sua sessualità pienamente espressa eppure perennemente frustrata. Lo incontriamo ad inizio romanzo solo, con un amante che col tempo s’è fatto quasi solo confidente e poi con diverse possibilità che restano tutte a mezz’aria. A differenza della sorella che un amore se lo trova (ed è parte integrante dell’intreccio), lui resta fuori e, forse, è proprio questa posizione solitaria che gli dà poi la possibilità di risolvere gli enigmi.
Due lenti, si diceva. Usate da sole ti danno un tono che colora la realtà del passato ora di blu, ora di rosa. Usate insieme creano l’illusione della tridimensionalità che dà spessore alla Storia e, quindi, anche alla storia.
Ma la tensione in Tecniche di Resurrezione è anche quella della forma romanzo che, pur seguendo l’ampia campata di una narrazione unica, si sviluppa seguendo linee impredicibili, secondo digressioni che rientrano poi naturalmente nel fiume carsico di una storia in cui Vita e Morte si prendono per mano e si trovano reciprocamente confuse nella mirabole metafora di Doctor Ending, un medico che uccide. Ed in questa confusione in cui il progresso medico passa per l’accaparramento di cadaveri sempre più freschi, in cui la lunghezza della vita dipende dalla comprensione della morte ed in cui l’invecchiamento precoce coincide con il ritorno alla vita di deità egiziane riposa, forse, il braccio di ferro più tremendo. Perché di colpo il romanzo storico (raro di leggerne di così esatti) finisce per competere con il romanzo filosofico.
Avete ancora il coraggio di chiamarlo semplicemente un horror?
Autore: Gianfranco Manfredi
Titolo: Tecniche di Resurrezione
Editore: Gargoyle Books
Dati: 489 pp, copertina rigida
Anno: 2010
Prezzo: 18,00 €
webinfo: Scheda libro sul sito Gargoyle
