È probabilmente il primo nome che viene in mente quando pensiamo al cinema asiatico. Questo è uno dei pregi personali più importanti di John Woo, un autore che, a livello mediatico e nella visione collettiva, ha superato registi del calibro di Akira Kurosawa, Kenji Mizoguchi, Yasujiro Ozu, Wong Kar-wai e tanti altri (si noti bene che qui non si vuole fare nessun rapporto di qualità, ma si parla di un semplice impatto mediatico). John Woo è l’uomo che ha reinventato l’action movie, raffinandolo; l’uomo che ha fatto dei gangster orientali la sua ragione cinematografica, offrendo all’Occidente una visione di violenza galante che ha fatto spalancare gli occhi a tutti gli appassionati di cinema, primo fra tutti Quentin Tarantino; un regista che, dopo anni di gavetta prima e opere di perfezionamento poi, ha ottenuto riconoscimenti mondiali realizzando delle opere personali e affascinanti, per poi spostarsi negli studi hollywoodiani e riuscire addirittura a piegare il passato alle sue esigenze (basta vedere Mission: Impossible II (2000) per capire cosa sia riuscito ad apportare ad un film già potente com’era quello di De Palma).

Sarebbe davvero superfluo utilizzare questa recensione per parlare dello stile John Woo o per elogiare il suo lavoro (tanto ci sarebbe da scrivere e poco è lo spazio utilizzabile, in più, parlando dell’operato di Woo, si sprecherebbero gli aggettivi “spettacolare” e “innovativo”). Per poter capire chi è John Woo basta guardare i suoi film e, uno volta fatto, innamorarsene: dai suoi inizi cinematografici con opere praticamente sconosciute in Occidente quali The young dragons (1973) – film che lo lancia come ciò che non sarà, ovvero nuovo possibile regista di punta di film di kung-fu - fino alle opere che lo hanno fatto conoscere in Occidente, A better tomorrow (1986), A better tomorrow II (1987), The killer (1989), Bullet in the head e Hard boiled (1992); infine si arriva al suo splendente periodo americano (anche se qualitativamente più offuscato rispetto al periodo di Hong Kong), con opere quali Broken Arrow (1996), il più famoso Face/off (1997), il già citato Mission: Impossible II, Windtalkers (2002) e Paycheck (2003).

Rispetto ai suoi film forse nulla potrebbe spiegare meglio John Woo, eppure i libri servono sempre: a tal proposito accorre l’opera di Christopher Heard, Una tempesta di piombo. La biografia di John Woo, edito anni fa da Lindau a raccontarci nei minimi dettagli la vita di uno dei migliori registi contemporanei. Pur focalizzando l’interesse sugli episodi della vita dell’autore e, ovviamente, intersecandoli al suo approccio al mondo del cinema, l’autore non disdegna di soffermarsi su ogni opera del regista, anche offrendo aneddoti che hanno portato alla creazione di ogni singolo film e realizzando una critica cinematografica di ottima fattura. Il fatto poi che nel libro non siano presenti fotogrammi è un altro segno di come l’immagine delle opere di Woo non possa essere racchiusa in una piccola foto, ma ha il dovere di esplodere sul grande schermo, in tutta la sua adrenalinica bellezza.
È forse vero che leggendo il libro di Christopher Heard lo spettatore attento non troverà tanto di nuovo rispetto alla propria visione dei film di Woo, ma se questa opera la si vede essenzialmente sotto forma di biografia, allora bisogna ammettere che è difficile trovare di meglio per ricavare informazioni sulla vita di John Woo.
Una vita che, ovviamente (e forse dispiace ammetterlo) è del tutto opposta a quella dei protagonisti delle sue opere: forse pensando a John Woo l’appassionato di cinema l’immagina come un gangster malavitoso o eroe contemporaneo che passeggia incolume tra strade in fiamme o esplosioni spettacolari. Se è così allora è consigliabile non leggere il libro di Christopher Heard, perché quando vi accorgerete che l’uomo di cui si sta parlando, capace di realizzare opere condite da inseguimenti spettacolari e violenze poetiche, è in realtà una persona alla mano, signorile, timida e dai modi pacati, semplicemente vi si spezzarà il cuore!