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Libri - Vita dei fantasmi. Il fantastico al cinema

Pubblicato il 13 gennaio 2010 da Angela Cinicolo


Libri - Vita dei fantasmi. Il fantastico al cinema

II quarto volume di Jean-Louis Leutrat approfondisce i tentacolari legami del cinema con il fantastico indagando sulla sua terminologia e perlustrandone la semantica senza fermarsi alle sole considerazioni teoriche ma citando ed esaminando alcune delle più significative pellicole de genere.
L’ombra della luce per Dario Portale, autore di un’introduzione chiarificatrice e significativa, non è il portato delle forme e dei meccanismi di riproduzione dello spettacolo cinematografico, quanto l’essenza stessa di tale prodigio. Il fantastico è quella dimensione che il cinema elabora con i propri mezzi perché gli appartiene naturalmente. E’ una zona di luce e ombra che viene originata da un’immagine, che si dilata attraverso la fotografia e si amplifica con un’incredibile intensità al cinema, nel cinema. Contemporaneamente il fantastico non è un limite, un’area entro cui il cinematografo esaurisce le sue possibilità e i suoi poteri. Anche la letteratura ha saputo infatti mostrare l’invisibile, ma il cinema delinea un’immagine rappresentandone il piano visibile, quello visibile e perfino un ulteriore spazio di rappresentazione, che sarebbe superficiale riassumere nel solo fuori campo. Le definizioni del fantastico si sono quintuplicate attraverso il perturbante di Freud, l’irruzione irrisolta di Caillois, il genere del meraviglioso di Todorov: tra loro, sebbene da angolazioni differenti, in comune una percezione di conflittualità tra le certezze della nostra realtà e l’impossibilità di una realtà altra. Poetica la metafora di Portale: il fantastico viene rapportato a un ragno che, come il cinema, si nutre anche di ciò che è diverso, di ciò che vi si riduce infine.
Il fantastico ha forme svariate nel cinema: le aggressive allucinazioni di Buñuel, le sottili allusioni di Mario Bava, le apparizioni, le sparizioni e i ritorni. Non è possibile delimitare un’unica forma, piuttosto si corrono meno rischi nel relativizzare la nozione intendendola come categoria trasversale per il mezzo e il prodotto cinematografici. Basta pensare all’esposizione delle lacrime: il cinema riesce a catturarla nell’attimo in cui il pianto ha origine.

Ecco allora come il fantastico del e nel cinema è fantastico nello sguardo dello spettatore attraverso l’intera storia del cinema. Esso è in grado di suscitare nel pubblico le reazioni più controverse perché “il fantastico è prima di tutto un effetto” mentre si configura come rappresentazione di quell’intangibile spazio tra la realtà e una “irrealtà luminosa”, tra l’umanità e l’alterità come un fantasma, irriducibile ma riconoscibile segno di un legame indissolubile tra la vita e la morte. L’espressione e la sua modalità visiva nel cinema definiscono coi loro registri la dicotomia tra il fantastico dichiarato, raffigurato come opposizione aggressiva nell’esibizione, e il fantastico insidioso, dissimulato nelle sue horror pictures. Lo spavento e la mostruosità in ogni caso vengono comunque a spalancare gli occhi come nei testi di Hugo e Cechov. Il gioco della penombra che Freud ha sintetizzato nella storia del rocchetto ripercorre la storia letteraria e cinematografica fin dai primi trenta anni del secolo scorso e si svela nelle presenze di un regno degli spettri tanto immaginario quanto familiare all’uomo: “così alcuni film sembrano attualizzare incubi infantili”. In quello spettro e nella sua dimensione ottica s’esprime la parvenza del doppio allo stesso modo in cui nel cinema burlesco, quello di Keaton ma anche quello di Jerry Lewis, l’individuo è soggetto e oggetto d’interessanti processi di moltiplicazione. Gli spettatori di fronte a tali immagini vivono un malessere che deriva dalle angosce che il fantastico, con l’estraneo e l’indefinito, ha risvegliato. Spesso quello squilibrio è il fanalino di un déjà vu che costringe alla memoria e al ricordo forzato che la coscienza aveva limitato. “Sentiamo che ciò che vediamo esiste”, lo riconosciamo e lo riviviamo per mezzo della “trasfusione” cinematografica e per mezzo dei suoi feticci. Così bestiari come quello di Nosferatu il vampiro o creature che ritornano dalle grandi opere letterarie come quelle nel Dracula di Coppola ci condizionano e scatenano disgusto, “reazioni emotive forti, eccessive”.

La convergenza del terrore e del fantastico permettono l’assimilazione della paura nel “sentimento del reale”.
Secondo Jean-Luc Godard, “i veri film di mostri sono quelli che non ci fanno paura ma che, dopo, ci rendono mostruosi”. Leutant identifica questa mostruosità in precise categorie: dalla paura, intesa come sentimento della perdita e della negazione della specie umana raffigurata nei volti di Boris Karloff e Bela Lugosi, al sangue, che permette il superamento della “barriera simbolica tramite il reale” e qui cita la rappresentazione di Psycho di Hitchcock e di Shining di Kubrick, dalle frontiere, spaziali più che temporali, figure di viaggi e di percorsi della ragione e della follia, alle porte, luoghi di separazione prima ancora che di passaggi come ne Lo strano caso del Dottor Jekill e di Mr. Hyde nella versione Lewis. Dai doppi agli specchi, in cui si concretizzano indicibili finzioni psicologiche oltre che fisiche, come insegna il cinema del corpo di Cronenberg e come ricostruiscono numerose sequenze de Il bacio della pantera di Tourneur, le cui immagini, inscritte nella mitografia cinematografica, mostrano le possibilità degli sdoppiamenti non solo nelle immagini ma perfino nelle azioni. Tourneur supera quella dimensione teatrale racchiusa dalle maschere, specie nel teatro nipponico Nō, che celavano la parte visibile del volto per rivelarne l’anima e la psiche. Il cinema permette invece di carnificare il fantastico: le figure di cera degli orrori di Bava, gli occhi enormi nella stone face di Keaton in Film di Beckett e Schneider, i visi e i corpi mutilati di Lynch e Browning mostrano l’essenza agli occhi non più mascherati.
“Il cinema ha altre possibilità di giocare con l’invisibile”: l’autore ci ricorda, analizzando intere sequenze delle opere citate, che esso ha potenzialità superiori alle altre arti perché le immagini, le parole, la musica scoprono sensi e significati anche solo suggerendone le rappresentazioni.

Lo schermo “funziona come un quadro”, come uno spazio dell’apparizione materiale e della proiezione mentale per lo spettatore che tende, grazie a esso, a una dimensione del fantastico, complementare all’onirico come nelle opere di Dreyer, allo spiritualismo e alla smaterializzazione che altrimenti non gli sarebbero stata visibile. Leutrat conclude, appunto, sul “suo splendore e il suo mistero”.


Autore : Jean-Louis Leutrat
Titolo : VITA DEI FANTASMI. Il fantastico al cinema
Editore : Le Mani
Dati : 334 pagine, illustrazioni b/n
Anno : 2008
Prezzo : 15,00 Euro
web info : Sito editore


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