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Medea a Camariñas

Pubblicato il 14 gennaio 2016 da Alessandro Izzi


Medea a Camariñas

Medea è ormai invecchiata.
Le storie del vello d’oro e del suo amore per Giasone sono fastidiosi ricordi che non riesce a lasciarsi alle spalle. Materia di racconto per tanti scrittori che hanno affilato le loro penne sulla sua carne intristita dal peso dell’età e dall’impossibilità di difendersi veramente.
A Camariñas, nella Galazia, dove la fantasia del drammaturgo costruisce l’ultima casa della donna, tutti la guardano con sospetto.
La sua fama di maga la precede e riempie di bisbigli subdoli tutti i vicoli di paese. E lei, costretta anche a lavare i panni della sua stessa ancella ormai troppo vecchia per continuare a prestare servizio, si ritrova addosso anche la fatica del lavandare in mezzo a sguardi ostili.
In un lavatoio Andrés Pociña, l’autore di questo monologo drammatico, immagina l’azione. Un lavatoio di quelli che ci sono ancora nei borghi più antichi, uno spazio da massaie, vicino a un corso d’acqua fresca, con la pietra buona per strofinare i panni e il suono sciacquo delle lenzuola sbattute al sole, da strizzarsi con la forza delle braccia.
L’autore non dice il numero delle massaie figuranti che stanno intorno a Medea. Suggerisce non più di dieci. Di cinque azzarda i nomi: Uxìa, Marica, Rosina, Ermitas ed Elpidia. Ma sono solo ombre che Medea interpella nella sua lunga, affannata richiesta di ascolto e verità.
Nel giro di poche battute l’eroina immaginata da Pociña smonta uno a uno i miti che gli scrittori (tutti uomini) le hanno costruito attorno.
Il vello d’oro? Non era che un montone con una lana morbida che si sperava di far accoppiare con le pecore della Galazia più ispide e meno commerciabili. Il delitto di Apsirto con la storia del suo corpo smembrato e lasciato pezzo per strada per rallentare gli inseguitori durante la fuga dalla Colchide? Una fandonia dal momento che Medea amava quel suo fratello quasi più che se stessa e pretese che fosse lasciato in porto solo dopo averlo sorpreso mentre faceva sesso con il suo Giasone.
Anche la storia del colpo di fulmine che, si dice, la legò per sempre all’uomo che la trasse dalla terra natia per poi abbandonarla è una fandonia. Medea confessa alla donne di Camariñas una certa infatuazione, ma amore no, non lo è mai stato. Di Giasone le piacque subito il fisico e poi i modi gentili. Elementi affascinanti per una abituata a una terra di pastori e contadini, tra pecore e armenti, dove la verginità si perde subito e senza troppi romanticismi.
Le donne di paese ascoltano, ma con timore. Ce lo dice la continua invocazione da parte di Medea a un senso di comune femminilità avvilita. “Amiche mie” è l’appellativo ironico e lacerato con cui si rivolge a loro. Con sarcasmo e ferita.
Perché Medea, nella poesia di Andrés Pociña - che scartavetra il mito letterario (da Euripide ad Apollonio Rodio, Ovidio e Draconzio) per avvicinarsi a un personaggio di una mitologia più orale, più vicino alla terra – Medea è prima di tutto espressione del diverso, del non integrato, dell’elemento esterno che si guarda sempre con sospetto, con paura e ansia.
Figura straordinariamente contemporanea e di incredibile attualità, la Medea di Pociña è uno specchio oscuro nel quale possiamo vedere riflessa la nostra scarsa capacità di ascolto, il nostro rifiuto per tutto ciò che è straniero e che seduce e spaventa al tempo stesso.
Donna di esibita carnalità, questa Medea atterrisce per la sua verità barbara, estranea, che, nutrendosi del rifiuto degli altri, si riempie di una malinconia rabbiosa e densa. Il suo sforzo di dirsi attraverso la parola, misurandosi con gli uomini sullo stesso terreno del teatro e della declamazione, urta contro il contesto esterno di un pubblico (quello delle donne del lavatoio) ostile e spaventato e resta nello spazio deputato della narrazione orale, non istituzionalizzata né istituzionalizzabile. Una resa dei conti intima e assai poco spettacolare.
L’autore lascia poche indicazioni sul percorso della messa in scena. Una lunghissima didascalia d’apertura che disegna il contesto, e un momento di sofferta immedesimazione nell’agnizione finale del racconto del delitto dei figli sul quale si spalanca l’abisso di un’impossibilità di giudizio come solo nella tragedia classica avveniva con tanta forza disperante.

Il monologo è accompagnato in volume da una breve prefazione di Mercedes Arriaga Flòrez e Daniele Cerrato (promotori della meritoria opera di traduzione in italiano dell’opera di Andrés Pociña) e da un’intervista finale all’autore.


Autore: Andrés Pociña
Titolo: Medea a Camariñas
Editore: Il Sextante
Dati: 34 pp, brossura
Anno: 2015
Isbn: 978-88-97708-03-2
webinfo: Sito dell’editore


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