Nero Avati. Visioni dal set

Nero Avati – Visioni dal Set ci riporta con la memoria ad una stagione del cinema italiano che non esiste più. Ci ricorda, con commozione, di quando anche il cinema professionale (seppur legato a budget spesso risicatissimi) veniva fatto in allegria, in troupe in cui ognuno poteva sentirsi a casa e ognuno aveva l’impressione di poter dare un apporto decisivo alla realizzazione del prodotto finale. Magia che si avvera, ora, e neanche tanto spesso, solo nelle piccole produzione semiamatoriali che l’avvento del digitale ha fatto aumentare in misura esponenziale come funghi in un sottobosco più virtuale che reale.
Oggi le cose non sono più così. Oggi il cinema e la televisione italiani (ma non solo) sono industrie definite dalla logica della catena di montaggio in cui ogni ingranaggio serve, ma può essere, ad ogni momento sostituito. Oggi le troupe sono composte da operatori stipendiati (e male!) che eseguono il loro lavoro e quando l’ultimo ciak è stato battuto, si lasciano il set alle spalle e tornano alle loro case dove prosegue la vita vera.
Ecco, forse, l’elemento che non è più possibile replicare e di cui non si può non sentire un’incredibile nostalgia, è proprio questa confusione tra vita e film, questo reciproco scambio tra affetti quotidiani e riprese che sta a monte, in modi di volta in volta cangianti, in tutti i primi film dell’autore felsineo.
Ruggero Adamovit, Claudio Bartolini e Luca Servini, gli autori di questo pregevole volume, non sono nuovi al cinema di Avati. I primi due sono, anzi, gli autori di un altro bel libro pubblicato da Le Mani che si intitolava Il Gotico Padano. Dialogo con Pupi Avati. Si potrebbe per certi aspetti dire che questo Nero Avati sia il sequel di quel fortunato libro. In realtà ne è, però, più il gemello un po’ come Blue in the face rappresenta, nel cinema di Paul Auster, l’altra faccia di Smoke.
Ad essere protagonista del libro è, infatti, non tanto il film colto nella sua struttura testuale chiusa una volta per tutte e definitivamente consegnata alla Storia del Cinema, quanto le fasi della sua realizzazione, le strategie che hanno condotto alla sua scrittura dalla fase ideativa fino all’esperienza concreta e fattuale del set.
Insomma quel che abbiamo davanti è la commossa e divertita composizione di una vera e propria galleria di backstage, il tentativo di passare dalla concretezza marmorea del film su pellicola alla più aleatoria dimensione dei ricordi delle persone che hanno contribuito alla definizione di quei titoli.
La cosa che rende particolarmente bella e originale l’operazione non è la sua misura aneddotica (anche se non mancano aneddoti anche divertenti sulle difficoltà incontrate dalle varie produzioni nella perigliosa avventura della messa in film di un’idea), ma la capacità di mettere al centro del discorso (mediante le gustose testimonianze dello stesso Avati, unite a quelle di Cesare Bastelli, Lino Capolicchio, Steno Tonelli, Giulio Pizzirani e Gianni Minervini) la complessità delle relazioni interpersonali tra il regista e i suoi più fidati collaboratori.
Ne viene fuori il ritratto di una vera e propria Factory che, però, è più una famiglia, un luogo di elezione in cui si sta bene insieme e ci si cerca anche nel tempo libero e fuori dal luogo deputato delle riprese, in cui si creano storie d’amicizia (qualche volta anche d’amore) e in cui il continuo scambio di confidenze finisce, paradossalmente, per diventare parte importante del processo creativo.
Pupi Avati, al centro di questa famiglia allargata, è pronto a cogliere gli infiniti suggerimenti che la vita vera gli passa attraverso lo stare insieme di persone diverse unite dal reciproco affetto. Ed è spesso entusiasmante vedere come questo contesto a suo modo unico riesca a trasferirsi così mirabilmente nel testo consegnato ai posteri.
L’operazione rifugge la semplice curiosità, ma anche il gossip d’epoca. Nella descrizione dei rapporti interpersonali si preferisce sempre parlare di quello che poi entra effettivamente nel film, mentre di tutto quel che è intimo e privato si preferisce pudicamente tacere. È così che gli autori del libro ritrovano quella misura delicata, a mezza voce e distanze perfette, tipica del cinema amato e, quasi, idolatrato.
Il libro si legge tutto d’un fiato e lascia dentro il lettore il calore tipico di una bevuta di lambrusco in compagnia.
Ma soprattutto ci lascia tra le mani il joyciano ritratto di un autore da giovane, raccontandoci, tra le righe, la lenta, spesso contraddittoria, conquista di un mestiere e di una sicurezza. Il cinema di dopo è solo lo sviluppo coerente di una ghianda che conteneva, comunque, titoli meravigliosi come Zeder e La casa dalle finestre che ridono.
Autori: Ruggero Adamovit, Claudio Bartolini, Luca Servini
Titolo: Nero Avati. Visioni dal set
Editore: Le Mani
Dati: 184 pp, brossura. Illustrazioni all’interno
Anno: 2011
Prezzo: 20,00 €
Isbn: 978-88-8012-571-6
webinfo: Scheda libro sul sito dell’Editore
