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Better call Saul (Stagione 2) - Teste di Serie

Pubblicato il 22 aprile 2016 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Better call Saul (Stagione 2) - Teste di Serie

"Mio fratello non è una persona cattiva. Ha un cuore buono. E’ solo che non può farne a meno...e agli altri non resta che raccogliere i pezzi."
- Chuck McGill

Se si prova a guardare indietro di qualche anno, risulterà difficile riuscire a trovare uno sceneggiatore più brillante e incisivo di Vince Gilligan. Il creatore della serie cult Breaking Bad sta facendo, da un pò di tempo a questa parte, quello che il visionario J.J. Abrams fece nei primi anni Duemila, trasformando in oro un’idea dopo l’altra. Forse, ancor meglio dello stesso Abrams. E Better call Saul ne è l’esempio perfetto.

Nato un pò dalla volontà di conferire maggior lustro a un personaggio (quello di Saul Goodman, interpretato in maniera impeccabile da quel grande attore che è Bob Odenkirk, che in questa sua serie ritorna per ricominciare dall’inizio con il nome di James McGill), un pò per accontentare i mai sazi fan di Breaking bad, ancora avidamente attaccati come polvere su velluto al micro-universo di Walter White, Vince Gilligan decise di concedere a Saul un numero da circo tutto suo. In gergo si usa il termine ‘spin off’, quando si vuole indicare una storyline secondaria che, per volere del suo creatore, viene staccata dal corpo principale (nel caso, Breaking bad), per essere sviluppata lungo una direttrice indipendente e a se stante. Stavolta, però, Gilligan ha varcato il confine della rigidità formale che separa una serie principale dal suo spin off: perchè Better call Saul può essere considerato in molti modi, ma non ridotto a semplice spin off. E, considerato quanto visto fin’ora, a parità di stagioni, è addirittura meglio di Breaking Bad. E per tutta una serie di motivi.

Certo, si parla di uno show che basa la sua struttura narrativa sulle pulsioni di una gran parte di personaggi già visti, amati e odiati in Breaking Bad, ma con l’aggiunta di una parte di altri nuovi, inventati per l’occasione; ciò esalta il lavoro immaginifico di Gilligan, che si rivela un autore in grado di costruire filoni narrativi contingenti tra loro, utilizzando un numero totale di personaggi irrisorio anche per la più classica e scontata delle sit-com, eccelso nell’esaltarne ogni sfumatura, sviscerandone emozioni e azioni, riuscendo a sorprendere lo spettatore, senza spingere verso il basso l’asticella della tensione drammatica (e in questa seconda stagione ci sono almeno tre cliffhanger da stritolare i braccioli della poltrona, quello del confronto tra Mike/Jonathan Banks e Hector Salamanca/Mark Margolis, quello della copisteria e il confronto finale tra Jimmy/Saul e il fratello Chuck, interpretato da un burbero Michael McKeane), il tutto senza rinunciare alla propria ormai inconfondibile vena autoriale, composta da macchina ferma, campi lunghi da cinema western, intere sequenze assordanti per quanto siano mute, e da una cura maniacale di dettagli che rappresenta, più di ogni altro aspetto trattato fin’ora, il vero marchio di fabbrica del suo stile cinematografico.

I personaggi, prima di tutto. Better call Saul, oltre a incarnare l’ascesa (breve e stentata) e le cadute (molte) di un anti-eroe, un uomo buono che non riesce a far quadrare la sua vita se non nel modo in cui vuole lui (non quello della criminalità, sia chiaro, ma di una costante ricerca della via di fuga più facile, spesso a discapito dell’operato altrui), tratteggia come mai si era visto prima il rapporto conflittuale tra due fratelli, Jimmy e Chuck, diametralmente opposti in ogni singolo aspetto, in un gioco di ruoli ribaltato da una semplice prospettiva caratteriale (è Jimmy/Saul quello tra i due che vuole bene all’altro, nonostante le sue azioni spingano a credere il contrario). E proprio questo rapporto spinge il Nostro a lottare con ogni mezzo a sua disposizione per preservare la propria indipendenza professionale, l’affetto condiviso con l’amica/amante Kim (Rhea Seehorn) e difendere la sua vera natura (quella dell’imbroglione incallito), lottando spesso contro una serie interminabile di eventi sfortunati, altro modo di concepire il dittico azione-reazione molto caro a Vince Gilligan.

Ma, più di ogni altro aspetto, Better call Saul è un inno alla propria individualità, all’essere se stessi, sempre e comunque, perchè c’è del buono anche in chi nasce con la camicia, perchè il più delle volte, sono i piccoli eroi quotidiani e ‘DonChisciottiani’ a far ruotare gli ingranaggi di una società corrotta e marcia alla luce del sole. Perchè lo dice anche il nome: Saul è ‘a Goodman’, un ‘uomo buono’. Potrà apparire poco professionale, a volte impacciato, altre meschino, altre ancora sfrontato o irrispettoso, ma non può scampare alla propria coscienza e, con essa, i conti non possono essere lasciati in sospeso.

Quel che abbiamo fino a qui sono due superbe stagioni e la malinconica consapevolezza che quando il destino di Jimmy/Saul lo condurrà nuovamente verso l’inizio della sua fine, ne sentiremo la mancanza per molto, moltissimo tempo. Ancor più di Walter White, ancor più di Breaking Bad.


(Better call Saul); genere: drammtico; sceneggiatura: Vince Gilligan, Peter Gould; stagioni: 2 (in corso); episodi seconda stagione: 10; interpreti: Bob Odenkirk, Jonathan Banks, Rhea Seehorn, Patrick Fabian, Michael Mando, Michael McKean, Raymond Cruz, Mark Margolis, Kerry Condon; musica: Dave Porter; produzione: Sony Pictures Television; network: AMC (U.S.A., 15 febbraio-18 aprile 2016), Netflix (Italia, 16 febbraio-19 aprile 2016); origine: U.S.A., 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult seconda stagione: 9x02 – Nailed (9x02 - Inchiodato)


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