The young pope (Stagione 1) - Teste di Serie

"Io sono una contraddizione. Io sono il papa."
Pio XIII
Il giovane papa Pio XIII cammina con passo lento, mento in su e un ghigno beffardo disegnato in volto. Alla sua sinistra, affissi su una parete rossa, scorrono dei dipinti di illustri artisti (dall’Adorazione dei pastori di Gerard Van Honthorst, alla Consegna delle chiavi del Perugino, dalla Conversione di San Paolo di Caravaggio, alle Stimmate di San Francesco di Gentile da Fabriano, e molte altre). A un certo punto, il pontefice si volta verso la camera che lo sta seguendo in una carrellata laterale e ammicca con un occhiolino in direzione dello spettatore, per poi voltarsi di nuovo e sparire fuori campo, nel momento esatto in cui un meteorite (che ha già attraversato sotto forma di stella cometa tutti i dipinti presenti) si abbatte contro la statua di Giovanni Paolo II (si tratta, in verità, di La nona ora, scultura di Maurizio Cattelan), in un epilogo dal portentoso potenziale visivo: la cometa (simbolo premonitore della Natività) si tramuta in un meteorite (simbolo che viene associato a parte della teoria evoluzionistica) che investe in pieno il pontefice più amato degli ultimi decenni, schiacciandolo, e con esso la Chiesa (perchè il pontefice è la Chiesa), permettendo a un nuovo papa di prendere il suo posto. E questo violento gesto simbolico è di per sè sufficiente a instillare nello spettatore un presentimento di quanto inciderà l’operato del giovane papa sul destino della Chiesa e dei suoi fedeli.
Quanto descritto e analizzato fino a ora è soltanto la sigla d’apertura di The young pope (accompagnata, tra l’altro, dalla conturbante cover di All along the watchtower di Bob Dylan, a opera dei Devlin), la prima opera di Paolo Sorrentino per il piccolo schermo, della quale furono presentati in anteprima assoluta i primi due episodi durante lo scorso Festival di Venezia: da quel giorno, The young pope si è rivelata la nuova serie più attesa dell’anno, tanto quanto una nuova novella, e giunta al termine della sua prima stagione, si possono tirare le somme e chiarirlo fin da subito: The young pope è un capolavoro senza precedenti per la produzione seriale italiana, destinato a fare storia, divenire storia e, chissà, cambiare per sempre il futuro della televisione nostrana.
Ma chi è Pio XIII? Il suo nome è Lenny Belardo (interpretato da Jude Law), un ex cardinale senza un particolare ascendente politico, che viene eletto papa da un conclave manipolato dall’astuto cardinale Voiello (Silvio Orlando), convinto che l’elezione di un pontefice giovane e inesperto, rappresenti la mossa più azzeccata per poter avere tra le mani un papa facile da veicolare. Ma Voiello e gli altri cardinali non sospettano minimamente di aver preso l’abbaglio più grande di tutti: Lenny Belardo è sì giovane e poco esperto, ma nasconde un temperamento ribelle e anti-progressista, ai limiti del fanatismo, è un innovatore che guarda al passato, che crede in una concezione della Chiesa chiusa in se stessa, conservatrice e atavica, una Chiesa che sia di nuovo celata sotto un velo scuro, che rappresenti un mistero per i fedeli, ormai adagiati su quei principi cattolici considerati da egli stesso un corpo flaccido e privo di ardore. Quindi, il papa di Sorrentino è volutamente un personaggio inverosimile, impossibile da replicare nella realtà, esagerato e contraddittorio per natura (egli non crede in Dio!) che, ancor più importante, svolge una funzione esplicitamente provocatoria.
La missione di Sorrentino è quella di mettere alla berlina i giochi di potere in Vaticano (lasciando che i paragoni con House of cards si sprechino), colleziona una serie di personaggi emotivamente deboli, inclini al vizio e ai peccati più depravati (dal cardinale Voiello e le sue manie di grandezza, all’alcolismo di monsignor Gutierrez, dai piaceri sessuali del cardinale Dussolier, ai ben più gravi atti di pedofilia dell’arcivescovo Kurtwell) e non perde mai l’occasione di mettere in discussione la fede stessa dei prelati e dei fedeli, spesso sfruttando una scrittura graffiante e ironica, a cominciare dai presunti miracoli operati da Pio XIII, tanto inconcepibili ma in grado di innervare una sconvolgente carica emotiva, quanto irriverenti.
The young pope gira inevitabilmente attorno alla figura ambigua di Pio XIII, un orfano dotato di un’intelligenza sopraffina e un magnetismo quasi animale che travalica tutti i canoni del genere: fuma una sigaretta dietro l’altra, non gradisce i rapporti amichevoli o informali, parla solo quando ha interesse nel farlo, si comporta solo in modo da soddisfare il proprio ego smisurato, si considera un uomo bellissimo e non disdegna nel dirlo, non sopporta una scolaresca di bambini in gita al Vaticano e prova una diabolica soddisfazione nel prendersi gioco dei cardinali o dei suoi collaboratori, punendoli per i loro comportamenti in maniera vendicativa (spassoso il trucchetto del mappamondo, rivolto in maniera agghiacciante contro l’arcivescovo Kurtwell malato di Parkinson, nel finale di stagione); ma Lenny Belardo non è un papa cattivo, ma solo un uomo cresciuto come orfano in un convento, al quale i genitori hanno sottratto la felicità di un’infanzia che non ha mai avuto, quegli stessi genitori che inseguirà per tutto il corso della vicenda e che, alla fine, non riuscirà a riabbracciare. Lenny Belardo è un uomo che vuole riavere indietro la dolcezza perduta, un bambino che, nonostante la sua intransigenza, riuscirà a cambiare, quantomeno ad addolcirsi, scoprendo il gusto per il rispetto altrui e la serenità di un rapporto amichevole: Lenny Belardo non crede in Dio, perchè Dio ha permesso ai suoi genitori di abbandonarlo ma, al contempo, ha deciso di dedicare la sua vita a Dio forse per recuperare e ottenere quel rapporto padre/figlio che ha da sempre anelato (che in parte riceve da suor Mary, interpretata da Diane Keaton, che lo accolse in convento dopo il suo abbandono). In questa stravaganza risiede la grande bellezza del papa giovane di Sorrentino, che si sforza con successo di umanizzare il divino, di normalizzare l’incomprensibile, tornando sui suoi passi, quelli di una carriera nella quale ha più volte sviscerato quel senso di vuoto, di abbandono e di perdita che hanno contraddistinto le sue opere più elogiate o riconosciute (l’amore perduto di Jep Gambardella ne La grande bellezza, il rapporto padre/figlio in This must be the place).
Sorprende quanto Sorrentino si stia convincendo pian piano ad alleggerire le sue opere di quelle iperboli visive che lo accostarono al manierismo espressivo del maestro Federico Fellini, licenze formali che già divisero la critica su La grande bellezza che gli valse l’Oscar e che cominciarono a dissolversi in Youth – La giovinezza (meno barocco e più intimo della “Bellezza”) e che qui, in The young pope si limitano al racconto di semplici scene di vita mondana, con bambini che giocano per i giardini vaticani, suore che si adoperano col bucato, e quel canguro ricevuto in dono, presenza innocua e aliena (alter ego simbolico del papa indesiderato) che solo Lenny sembra poter controllare. Meno eccessi e maggior accuratezza espressiva nella fotografia a opera di Luca Bigazzi, che gioca con ogni raggio di sole a incrementare l’aura di santità di Pio XIII, che avvolge i personaggi negli immortali affreschi della Cappella Sistina, in un caleidoscopio di colori a pastello ammalianti, relegando i chiaroscuri nelle sequenze maggiormente introspettive: scelte stilistiche che premiano il lavoro ultimato, donandogli una potenza e un’espressività visiva magniloquente.
Ma The young pope, al di là della conferma sulle eccelse capacità tecniche e di scrittura di Sorrentino, verrà ricordata per quella che è, senza ombra di dubbio, la migliore performance di Jude Law, perfetta in ogni movenza, espressione o vocabolo pronunciato, una prova in grado di infondere spessore, cinismo e malinconia a un personaggio già complesso per sua stessa natura (ecco, dispiace che la prima stagione sia giunta al termine anche perchè da un Jude Law in tale stato di grazia non si vorrebbe mai staccare gli occhi di dosso); discorso analogo per gran parte del cast, a cominciare da Silvio Orlando, voce e corpo di un macchiavellico cardinale Voiello, tanto astuto, quanto imperfetto, umano e impossibilitato a competere con l’energico e imprevedibile pontefice.
Onore a Paolo Sorrentino, dunque, e alla sua creatura più fulgida, appassionante e appassionata, un’opera traboccante di epica narrativa, suggestioni visive e quesiti morali e spirituali che, spesso, si è troppo restii a porsi, timorosi di conoscerne le risposte e, ancor prima, di scoprire quale reali motivazioni possono spingerci a porci tali interrogativi. The young pope non è solamente l’apice della serialità italiana dal dopoguerra a oggi, ma un banco di prova e al contempo un metro di paragone per le prossime ambiziose produzioni a venire.
(The young pope); genere: drammatico; sceneggiatura: Paolo Sorrentino,Stefano Rulli, Tony Grisoni; stagioni: 1 (rinnovata); episodi prima stagione: 10; interpreti: Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Javier Cámara, Scott Shepherd, Cécile de France, Ludivine Sagnier, Toni Bertorelli, Stefano Accorsi, James Cromwell; produzione: Wildside, Haut et Court TV, Mediapro; network: Sky Atlantic (Italia, 21 ottobre-18 novembre 2016); origine: Italia, 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x05 – Episodio 5
