POLAR EXPRESS - “Braquo”, di Olivier Marchal
In realtà non c’è proprio bisogno di essere patiti di serie tv per avere comunque una certa antipatia per gli sbirri degli Affari Interni, dipinti già da certo cinema poliziesco e da certa letteratura tosta di genere come la feccia del Corpo di Polizia, gente senza il fegato di lanciarsi in prima linea per le strade, intenta unicamente a scartabellare e rovistare nel torbido per incastrare e rovinare le carriere dei piedipiatti che invece fanno il loro duro lavoro sporcandosi le mani, e fa niente se ogni tanto qualche procedura viene volutamente dimenticata, o qualche interrogatorio viene condotto non proprio rispettando le buone maniere e la cortesia.
Ma, da un po’ di tempo a questa parte, non sono pochi gli eroi col distintivo finiti nei guai con i mastini rognosi della Disciplinare: Horatio Caine, Jack Bauer, Vince Mackay… era tempo che la Francia ritrovasse una sua gloriosa tradizione di sbirri lerci e scorretti, la barba mai rasata, le notti passate in auto, qualche whiskey di troppo, sesso a pagamento, caratteraccio e battuta tagliente sempre pronta per essere sibilata, letale come un proiettile scagliato dal loro grilletto facile.
Oliver Marchal è l’autore che più di tutti dalla metà degli anni ’90 come sceneggiatore, regista, a volte anche attore, ha raccolto la difficile eredità del polar per aggiornarla a stilemi e ritmi della contemporaneità, senza però rinunciare al fascino dei night club scalcinati nelle stradine nascoste, delle femmes fatales maliarde, del sottobosco di personaggi moralmente ambigui che portano avanti i propri traffici nella notte.
Chi ha visto i suoi 36, L’ultima missione, Diamond 13 (questo solo sceneggiato) ha preso confidenza con lo scenario immerso in un cupo fatalismo e, insieme, in un disperato, solenne romanticismo, che anima l’universo di Marchal.
Ora questi otto episodi di Braquo, tutti scritti da Olivier in buona parte senza co-sceneggiatori, e 4 anche diretti, riportano il cineasta nei territori del piccolo schermo già solcati in passato con le serie Il Commissario Moulin, Flics, Central Nuit.
Il successo in patria è clamoroso, Braquo fa più spettatori dei serial americani programmati in contemporanea, Marchal si mette già al lavoro sulla seconda serie.
Qui da noi siamo nel bel mezzo del passaggio della prima: per capirne la fortuna basterebbe già il personaggio di Eddy Caplan, interpretato da Jean-Hughes Anglade con quel fantastico mix di indolenza, strafottenza, rassegnazione e rabbia trattenuta che rendevano grandi i personaggi di Depardieu e Auteil nei film di Marchal. La squadra di Caplan al distretto di Hauts-de-Seine è formata dai migliori, è sempre operativa ed è talmente potente e cattiva da avere un piano tutto per sé nell’edificio della Centrale; sulla porta c’è scritto “Pericolo di Morte” e dentro c’è anche un bancone da bar con birra alla spina e parecchie bottiglie sullo scaffale.
I suoi uomini sono abituati a non andarci leggeri con i criminali, e più di una volta agiscono incappucciati come un Commando in operazioni notturne clandestine che risolvono i casi in maniera più efficace e sbrigativa in confronto alla burocrazia del codice penale.
Quando gli Affari Interni mettono talmente tanto i bastoni tra le ruote al modus operandi della squadra di Caplan che il suo migliore amico e collega Max preferisce spararsi un colpo in testa che affrontare l’infamante processo alla Corte Disciplinare, Eddy decide che quel sottile confine che disegna i territori della Legge è tempo di cancellarlo definitivamente, coprendolo col sangue.
Come recentemente ci ha ricordato anche l’ottimo Polisse a Cannes 64, nulla è più forte della lealtà tra sbirri, e così la squadra di Caplan sprofonda episodio dopo episodio, sia in servizio che nella vita privata, in uno spietato, terrificante abisso (inedito per disillusa efferatezza sui piccoli schermi se non nelle stagioni d’oro di The Shield) di annichilente violenza, rappresaglie, esecuzioni, insabbiamenti, regolamenti di conti.
Marchal fa calare la notte su Braquo progressivamente, episodio dopo episodio, senza mostrare vie di fuga: incastra i suoi personaggi in un disegno di malata dannazione che pare eterno, dove solo i sacrifici estremi sembrano poter portare alla speranza di riuscire a vedere la luce dell’alba.