Prima la trama, poi il fondo

Renata Pfeiffer è una pittrice milanese. La sua parabola artistica si è mossa tra ascisse e ordinate in maniera capricciosa, ma paradossalmente coerente.
In una prima fase del suo poetare coi colori è stata una giovane entusiasta del vivere cittadino. Ammaliata da Milano, città che «vive» da quand’è nata, ha costruito opere di grande equilibrio compositivo e inaspettata piccola poesia. Ai disfattisti della vita metropolitana, che della città vedono solo i grigi dei casermoni e della nebbia, ha dimostrato che c’è una discreta magia nell’affastellarsi di palazzi-rettangoli contro l’orizzonte incendiato di tramonto. E nei paesaggi equilibrati delle strade attraversate in bicicletta ha trovato un riservato senso di casa nascosro in ogni più piccola macchia di colore. Il suo modo di dipingere, usando all’inizio smalti industriali lasciati gocciolare direttamente sulla tela con tutte le bellissime imperfezioni che il gesto comporta, ha sempre avuto un che di fanciullesco pieno di mille stupori. Il gesto dell’artista è sempre stato quello di un bambino che canta quel che vede, esattamente come lo vede: prima la gru in mezzo al cantiere della casa in costruzione e poi il cielo che c’è dietro, prima la trama e poi il fondo.
Successivamente, dopo un periodo di letargo durato qualche anno, si è affacciato, in tarda età, un nuovo modo di fare arte che abbandona le superfici per andare a lavorare direttamente sulla materia: metalli al posto delle tele e radiografie usate come campate di colore a dare un nuovo senso all’espressione «body art».
Il cinema è sempre stato parente stretto della pittura. C’è stato anzi un tempo in cui erano i pittori a darsi direttamente al film realizzando tele in movimento, ammaliate dalle possibilità del muto e del montaggio. Eppure il mistero del gesto artistico, l’attimo numinoso della creazione è sempre rimasto fuori scena, infilmabile. Anche Il mistero di Picasso di Henri-Georges Clouzot, documento imprescindibile si un’utopia stupenda, resta piccola cosa nel suo indicare senza mai svelare ciò che, per sua natura, non può essere svelato: il senso ultimo del genio.
Fulvio Wetzl, coadiuvato alla regia da Laura Bagnoli, entra senza troppi giri di parole nel vivo del suo argomento. Prima la trama e poi il fondo non è un biopic, né un documentario sulla vita di un’artista. Certo ci racconta una storia a suo modo esemplare, ma questa è il fondo, non la trama, resta importante per la composizione complessiva senza esserne, comunque, il motore primo. La storia di una vita ci sembra, anzi, essere proprio come quei gioielli che l’artista inserisce a bella posta nei suoi ultimi lavori e che il legittimo proprietario può indossare per una sera salvo il patto di rimetterli a loro posto nel quadro prima che scocchi la mezzanotte. Allo stesso modo con cui il racconto è la struttura che lo spettatore può usare, prendere in prestito per qualche minuto, per poi rimetterla dov’è perché senza il dipinto è un incompiuto.
Fulvio Wetzl e Laura Bagnoli, insomma, nel realizzare il film, non si limitano a mostrare dipinti e opere d’arte, ma cercano di riprendere l’implicito gesto pittorico che è alla base della loro stessa genesi. Il rapporto film-dipinti non si risolve qui nel semplice terreno dell’iconografia per cui il primo prende e fa proprie figure e colori dei secondi, ma aspira ad un livello di immedesimazione più profondo con il proprio oggetto di discorso. La macchina da presa diventa pennello che ricerca lo stesso modello compositivo, lo stesso gesto imperfetto, lo stesso stile, quasi, della Pfeiffer. Eppure, malgrado l’alto livello mimetico di un atto di filmare che riprende un diverso atto di dipingere, il risultato complessivo ci appare incredibilmente personale e coerente con i precedenti lavori di Wetzl.
Anche qui, infatti, torna, come in Mineurs e in Prima la musica, poi le parole uno sguardo intenso sull’infanzia (in questo caso la seconda infanzia di un’artista che reinventa se stessa). Anche qui c’è l’incanto di fronte ad un bisogno, tutto infantile, di sovvertire il naturale corso delle cose andando a ritroso: prima la trama e poi il fondo, prima la musica e poi le parole, prima lo stile e poi il racconto. Anche qui, infine, la macchina da presa è muta, incantata testimone, di un miracolo possibile, di un sogno di metà mattina che unisce il cuore alla ragioni più profonde del nostro essere al mondo.
(Prima la trama, poi il fondo); Regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio, edizione e riprese: Fulvio Wetzl, Laura Bagnoli; musica: Il Lorenz (Lorenzo Farolfi); produzione: Fulvio Wetzl e Laura Bagnoli per W & B; origine: Italia, 2013; durata: 66’.
