Resident Evil: Retribution - Il libro

Resident Evil è un prodotto che non si adatta bene al taglio di bisturi della critica d’arte.
Leggerlo semplicemente come un film non riesce, infatti, a restituirti la sua complessità di oggetto polisemico.
Più che un testo, ad uno sguardo attento, esso sembra un nodo, un agglomerato di incroci possibili, di luoghi semantici complessi in continua ri-mediazione reciprica. Leggere Resident Evil è leggere un iper-testo in trasformazione, è scivolare da un ambito mediatico all’altro senza che neanche ci se ne renda conto. Non solo perché il film ri-media istanze da videogioco in un corpus filmico, ma perché, in corso d’opera, non nasconde mai allusioni ad altre possibile derivazioni mediatiche.
Che ci sia stato un caso di novelization (dalla pellicola al libro: passaggio inverso alla moda del momento che vede nella trasposione e ri-mediazione dei romanzi la strategia commerciale vincente), quindi, sorprende e non sorprende.
Sorprende perché se è vero, come affermano i semiologi, che la ri-mediazione di un messaggio tende sempre a muovere da un media più iper-mediato ad un media più im-mediato, il passaggio dal film al romanzo è un percorso tutto in salita che arranca dall’immediatezza dell’immagine alla complessità più astratta e distante della parola scritta.
Non sorprende perché, in quella ridda di passaggi da un media all’altro che è Resident Evil, la parola stampata mostra la sua funzione di mero passaggio di fase. Non è l’approdo ad un testo, ma uno stato intermedio di un messaggio che non vive più dentro un singolo testo, ma nel passaggio da un testo all’altro.
Insomma, Resident Evil ci appare sempre più come organismo mutante che non vive in un corpo, ma in più corpi. Non cerca un testo, ma trova il suo media ideale nell’iper-testo e nelle connessioni tra reti diverse.
Leggere Resident Evil: Retribution così come l’ha scritto John Shirley, significa utilizzare le griglie della parola scritta come trampolino per riconnettersi virtualmente non solo al film che ne è la fonte di ispirazione, ma anche agli spot virali che hanno preceduto l’uscita del film in sala, nonché il videogioco che tutto modula e che, a sua volta, deriva dalla ri-mediazione di un intero genere cinematografico (lo zombie-movie).
Rileggere, ad esempio, la scena che si svolge all’incrocio Shibuya (una delle più naturalmente iconiche) ci riporta alla mente sia lo spot virale che precedette l’uscita del film nel quale Alice è assente (tratta dosi di uno scenario di simulazione è del tutto naturale che esso si ripeta identico a se stesso ogni volta che la simulazione viene attivata), sia la sequenza del film che, pur avendo presente Alice all’interno dell’inquadratura, può avvalersi di un montaggio più ellittico e funzionale alla narrazione. Ognuno dei tre diversi momenti di ri-mediazione della stessa realtà iconica è del tutto consapevole della presenza dell’altro e, anzi, (e qui sta un principio di novità che non deve essere taciuto) si modella o rimodella nella piena consapevolezza di poter rimandare all’altro o, come fa il film, emendare all’altro frammenti di informazione. In questo quadro il film non è il crocevia mediatico nel quale si intersecano, come negli incroci stradali, le contingenze degli altri snodi mediatici, ma rivendica la sua volontà ad essere niente più che un percorso in mezzo ad altri percorsi.
Leggere la scena in questione senza aver presente l’accavallarsi di altri snodi semantici in atto sopra e sotto la superficie dell’immagine equivale a limitare le possibilità dell’ipertesto di cui il film è solo una faccia.
Per questo più che analizzare il romanzo in sé, ci sembra proficuo enucleare gli elementi di «erranza», rispetto alle ri-mediazioni interne del messaggio. John Shirley decide, di suo, di inserire nel corpus della narrazione desunta dalla sceneggiatura del film (che in parte deve essere stata modificata in sede di riprese viste alcune discrepanze come nel caso del segmento newyorkese nel quale mancano gli zombie giganti) alcune schegge narrative estranee. La storia di Dori e Judy che fuggono come disertori dalla Umbrella Corporation e finiscono su un’isola quasi deserta e ripulita da zombie, più che una rivendicazione della libertà dello scrittore di immaginari scenari altri rispetto al testo di partenza, ci sembra, da questo punto di vista, un tentativo di ri-mediazione di idee troppo palesemente audio-visive (e quindi naturalmente resistenti ad una ri-mediazione in un romanzo di prosa) in un contesto più precisamente narrativo. Non ci troviamo, quindi, tanto, o per lo meno, non solo di fronte ad un tentativo di reinvenzione, quanto, piuttosto ad un tentativo di rimodulazione di elementi narrativi che siano in grado di adeguarsi alla natura polisemica dell’ipertesto di partenza. Sono, insomma, il sintomo della resistenza del media libro al contagio polisemico dell’iper testo di cui sta diventando parte. Tant’è che, nella ridda di non finali (il testo, trasformandosi di continuo non può approdare alla consolazione di un epilogo, ma deve sempre rimandare ad un altro testo che può anche non esistere), l’episodio di Dori e Judy Tech è l’unico a concedersi un barlume di chiusura e di epilogo.
Peccato allora che la prosa di John Shirley non sappia essere più «scivolosa» e metamorfica. Ma è lo stesso scrittore ad apparirci poco consapevole dei processi semiotici che sta mettendo in atto con un romanzo meno ambiguo e più dichiarativo rispetto al film da cui deriva direttamente.
Autore: John Shirley
Titolo: Resident Evil: Retribution
Titolo originale: Resident Evil: Retribution
Traduzione: Michele Deriu
Editore: Multiplayer.it Edizioni
Dati: 320 pp, brossura con alette
Anno: 2012
Prezzo: 15,00 €
Isbn: 978-88-89541-87-6
webinfo: Scheda libro sul sito dell’editore
