Ritratti - Totò, il corpo comico

Ci sono tre statuine nel presepe napoletano che, oltre alla Madonna, San Giuseppe e il Bambinello, sono considerate altrettanto sacre dai fantasiosi artigiani partenopei. Uno è di certo Pulcinella, maschera non solo carnevalesca, simbolo della duplice anima, allegra e disperata, della città. La seconda raffigura un uomo dai capelli ricci, con addosso una maglia azzurra e un numero 10 sulle spalle, con o senza corona in testa, unico re di Napoli dopo i Borboni. La terza scultura è la riproduzione di un ridicolo personaggio in frac e bombetta, coi pantaloni sempre troppo corti e un’espressione furba sul viso. La riproduzione di Totò.
Il principe de Curtis (nome completo Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio) è un attore. Ma non un attore di teatro impegnato che ha dato lustro alla grande tradizione italiana e napoletana portando il suo nome sulle irte vette della cultura. Totò è un attore comico, di quelli che negli anni del dominio regio poteva essere un buffone di corte, un saltimbanco, un intrattenitore ridicolo e strambo con il compito di suscitare ilarità. Eppure un giullare che facendo ridere è diventato un principe.
Oltre cento i film di cui è protagonista, al fianco dei più grandi attori della commedia italiana, da Peppino de Filippo a Macario, da Aldo Fabrizi a Nino Taranto, senza dimenticare Titina de Filippo, Paolo Stoppa, Mario Castellani, Carlo Croccolo, quasi sempre vittime della sua esuberante vis comica, quasi del tutto improvvisata, giocata su un insieme di movimenti e parole strampalate, sintomo di una originalissima creatività. Infatti Totò si allontana dalla scia lasciata alle proprie spalle dai più illustri comici suoi predecessori, e si distacca dai suoi contemporanei. Inventa una maniera di fare comicità che è tutta sua, di cui diventa pioniere e che sarà in seguito imitata senza mai essere eguagliata. È una comicità che deflagra con violenza dal suo corpo, uno strumento di cui Totò abusa, che spinge ai limiti delle possibilità mimiche, creando un codice comico immediatamente riconoscibile, composto da movenze proprie della gestualità napoletana, da piccoli movimenti del volto e da una agilità da marionetta che evidenzia una capacità di disarticolazione letteralmente unica nel suo genere.
Di certo Totò non è l’unico a sfruttare il corpo come strumento di ilarità, ma è il primo a utilizzarlo in maniera così totale. Il corpo di Buster Keaton, indiscusso re dello slapstick, è, ad esempio, un corpo da atleta, un corpo che corre, salta, fugge, insegue, salva l’amata in mezzo alle comiche più assurde. Il corpo di Charlie Chaplin è invece più dimesso, caratterizzato dal particolare trucco facciale e dall’abbigliamento, un corpo che riduce al minimo i movimenti e si lascia più che altro travolgere da quella strana rivalità con gli oggetti inanimati che tanto fanno penare il povero Charlot. Il corpo di Totò è eccessivo, snodato, meglio ancora disarticolato, in costante negazione di simmetrie. Le leggi fisiche e meccaniche sembrano non avere più alcun fondamento, ogni norma viene stravolta in un trionfo di libertà e creatività corporea. Il volto irregolare e deformato sembra una vera e propria maschera, la sua capacità mimica, il fisico slegato da ogni regola, mani, gambe, occhi, braccia, piedi, orecchie, fronte, naso, mento, pomo d’Adamo, tutti strumenti di una comicità travolgente e roboante, una comicità che in ogni sequenza prende forma proprio quando tutto il corpo quella forma la perde. Come quando diventa burattino in Totò a colori e dopo una serie di evoluzioni da marionetta si accascia alla parete sul finire della musica; o quando si agita in una gestualità sfrenata nello stesso film, dove Totò, direttore d’orchestra, chiude un’esibizione con una serie di fuochi d’artificio che seppur fuoricampo è come se si vedessero sullo schermo grazie alla sua mimica.
Le origini di questo corpo sono nel rione Sanità di Napoli, dove, a contatto con la miseria e con la fame, Totò apprende quel senso di dolore necessario ad ogni comico per far ridere. Quel contatto con il dramma che conduce Antonio de Curtis alla ricerca di una via per sopravvivere, una via che attraverso l’avanspettacolo lo porta a girare per teatrini e palcoscenici di provincia per molti anni prima di approdare al cinema e rendere il proprio corpo celebre, definitivamente ’sacro’ seppur profondamente profano come solo la commedia sa essere, un corpo intensamente immerso nelle radici della propria città, tanto da potersi definire con orgoglio ’parte-nopeo e parte-napoletano’.
Per la redazione di questo articolo sono stati consultati i seguenti testi:
Comico e commedia, corpi e mutamenti di Sergio Brancato, in Fino all’ultimo film, l’evoluzione dei generi nel cinema, a cura di Gino Frezza, Editori Riuniti, Roma 2001;
Totò e la maschera, di Sonia Pedalino, MEF Firenze Atheneum, Firenze 2007.
