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Roma 2016 - 7:19

Pubblicato il 22 ottobre 2016 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Roma 2016 - 7:19

Il 19 settembre del 1985, alle 7:19 del mattino, il Messico fu colpito da un gravissimo terremoto che rase al suolo la Capitale e costò la vita a oltre 10.000 persone. Il film del coraggioso Jorge Michel Grau prende le mosse una decina di minuti prima e con un piano sequenza tra i più fluidi e meglio orchestrati del cinema recente illustra il preambolo della tragedia partendo dall’atrio di un palazzo ministeriale dove ha appena avuto inizio, questa mattina più presto del solito per una improvvisa visita del Ministro, la regolare vita di un ufficio cittadino dove il guardiano notturno ha appena aperto la porta d’ingresso: il personale delle pulizie, fattorini, segretarie, primi visitatori, e l’alto funzionario di Stato che deve occuparsi in prima persona del cerimoniale della visita del Ministro. Ma a un certo punto la macchina da presa sterza bruscamente a reinquadrare lo schermo del televisorino portatile da dove era partita: immagini traballanti, disturbi di antenna, i primi, timidi annunci dei notiziari che interrompono i programmi, poi il crollo, lo schianto. Lo schermo piomba nell’oscurità completa, e via via che gli occhi si abituano al buio si modifica anche il formato dello schermo, che da stretto come quello di un display verticale di un iPhone torna progressivamente al regolare formato panoramico. Per quanto fioca sia la luce, si intuiscono le sagome di due uomini, entrambi intrappolati sotto i piloni di cemento: l’anziano guardiano notturno del palazzo Martin, interpretato dall’attempato Hector Bonilla, e l’altro, Fernando, azzimato funzionario statale, cui dà il volto uno degli “odiosi otto” di Tarantino: Demián Bichir…

Al buio e senza alcuna possibilità di muoversi si rimane di lì in poi per tutta la durata di un film che ha del miracoloso grazie al dosaggio perfetto di una sceneggiatura che rispettando i naturali tempi di reazione di due esseri umani intrappolati sotto le macerie con pochissime possibilità di uscirne vivi, li aizza l’uno contro l’altro come due bestie ferite, poi però li riavvicina grazie a quella solidarietà che spontaneamente scatta in situazioni di bisogno spianando ogni contrasto, in particolare quelli di natura sociale. Per quanto possa sembrare strano, se non impossibile, la noia non si affaccia mai sullo schermo nel corso della visione, anzi l’attenzione non fa che aumentare via via con l’introduzione di altri tre personaggi intrappolati anche loro sotto il cumulo di macerie che risvegliandosi dallo choc si uniscono alla speranza di sopravvivenza degli altri. Un film che è una scommessa: sulla carta nessuno lo prenderebbe seriamente in considerazione come soggetto filmabile. Invece c’è più cinema sullo schermo buio e statico di 7:19 che in tutta la filmografia recente di Ridley Scott. Cinema intelligente, etico, spettacolare a suo modo, gestito con qualità impareggiabile da un narratore che si rivela profondo conoscitore dell’animo umano, nonché uomo di spettacolo di genio.


CAST & CREDITS

(7:19); Regia: Jorge Michel grau; sceneggiatura: Jorge Michel Grau, Alberto Chimal; fotografia: Juan Pablo Ramirez; montaggio: Miguel Schverdfinger; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Demián Bichir, Hector Bonilla; origine: Messico, 2016; durata: 96’


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