Roma 2016 - The Last Laugh

Umorismo e Shoah, un terribile ossimoro.
Sull’onda di questo accostamento di termini apparentemente inconciliabili, surfa, con invidiabile leggerezza, The Last Laugh, l’ultima risata, riprendendo, beffardo ma senza voler creare troppi rapporti, il titolo di uno dei capolavori di Murnau.
L’ultima risata è, infatti, l’espressione del senso di rivalsa dell’ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento. È la risposta concessa come ultima arma agli oppressi, a coloro che furono schiacciati e che ora risorgono, come fenici, dalle ceneri dei forni crematori pronti a dire che, sì, ce l’hanno fatta, malgrado tutto. Ma è anche l’eroismo di chi aveva un ultimo fiato nella gola contratta di paura e l’ha usato per ridere, per dire così che in fondo è rimasto sé stesso, senza cedimenti. È il monito affinché non si dimentichi, condito di quel riso verde che rende tutto più vivido perché ci obbliga a scendere a patti con l’idea che occorra prendere una posizione. Perché il riso demistifica e toglie potenza alle ombre della notte, rende più innocui i fantasmi del passato e ci aiuta, nei limiti del possibile, a non ripetere l’errore.
Ma quanto è lecito ridere sui campi? Quanto senso può avere oggi la battuta scherzosa sui milioni di morti? E perché si moltiplicano gli spettacoli che utilizzano al loro interno battute sugli ebrei condotti verso le camere a gas?
Non è facile, ci dice The Last Laugh, stabilire dei confini, dire che fino a questo punto è lecito sorridere e dopo non più. Non è facile perché la cultura è un sistema fluido e in perenne divenire e ciò che prima era considerato riprovevole ora è normale, quotidiano quasi. Non è facile perché non sempre è lecito entrare nelle motivazioni che guidano il comico e non sempre è chiaro il rispetto per il dolore che anima il bisogno di far ridere. E perché ogni posizione è soggetta al relativismo del punto di vista proprio come La vita è bella di Benigni appare ai più un film riprovevole nella sua totale negazione di tutto ciò che fu anche se un salvato può trovare commovente il disperato anelito di un padre a rendere innocuo anche il più grande degli orrori.
Di risposte se ne tentano molte all’interno di The Last Laugh. C’è ad esempio chi dice che può essere lecito fare battute sui campi di concentramento se a farlo sono gli ebrei e solo loro. Meglio se sopravvissuti, meglio se persone che hanno visto con i propri occhi quell’orrore e hanno tutto il diritto di farne oggetto di sberleffo. E c’è poi chi dice che è giusto ridere all’ombra dei campi se serve ad accendere i riflettori su un passato che altrimenti tendiamo troppo facilmente a dimenticare.
E poi ci sono le risposte dei sopravvissuti veri. C’è la loro difficoltà quotidiana a tornare alla vita dopo aver visto con i propri occhi la morte e c’è il loro senso di smarrimento di fronte al dilemma tra il riuscire a lasciarsi tutto alle spalle e godere della vita pur senza dimenticare e il restare attaccati a quell’ombra che li segue ad ogni passo e non li lascia mai.
Chi nel giusto? Una comica come Sarah Silverman che la Shoah sembra essersela fatta compagna di viaggio o Mel Brooks che dice che certo è lecito ridere dei nazisti e del loro delirio onnipotente per togliere loro ogni ultima arma, ma che mai farebbe battute sugli ebrei condotti allo sterminio?
The Last Laugh non sembra voler prendere posizioni. Piuttosto lascia respirare ogni punto di vista, rendendolo sfumatura a un interrogativo che non può ammettere risposte troppo facili. Così a ogni battuta che è facile trovare su Youube risponde con il volto segnato di una sopravvissuta che non riesce a trovarle divertenti (anche se spesso vere). E ad ogni emozione provata corrisponde in controcanto il suo contrario in un gioco di opposizioni che è esso stesso comico.
Si esce dalla visione di The Last Laugh storditi e incerti ed è probabilmente questo il suo merito più grande.
Impaginato su un montaggio didattico di grande efficacia, nel rispetto per ogni posizione, ma nella consapevolezza che una società che si vuole liberale e che si fregia del titolo di tollerante, la libertà di espressione non può essere limitata a casi specifici, il film è un esaltante canto sul potere del comico. Un canto consapevole di quanto difficile sia convivere con la risata, ma anche di quanto catartico possa essere accettarla nelle nostre vite e farcela compagna di percorso, soprattutto nelle sue accezioni più rudi, più esasperate e che tanto sanno di cattivo gusto (spesso solo perché troppo in anticipo sui tempi).
Perché alla fine forse sì, è lecito ridere dei morti, a patto che i nostri occhi restino sempre umidi di pianto.
(The Last Laugh); Regia: Ferne Pearlstein; sceneggiatura: Robert Edwards, Ferne Pearlstein; fotografia: Anne Etheridge, Ferne Pearlstein; montaggio: Ferne Pearlstein; produzione: Tangerine Entertainment; origine: USA, 2016; durata: 88’
