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Rubando bellezza

Pubblicato il 15 luglio 2016 da Alessandro Izzi


Rubando bellezza

Forse il filtro psicanalitico è veramente d’obbligo quando ci si accosta a un vissuto problematico e denso come quello della famiglia Bertolucci.
Un padre poeta tra i più sommi dell’Italia novecentesca getta, infatti, un’ombra lunga su due figli, amatissimi, eppure ricercati nella distanza di uno sguardo adulto che è già sul viso del bambino quando la luce è quella giusta.
Dei due figli, poi, Bernardo, quello più grande, si scrolla subito di dosso la tentazione di essere come il padre e, licenziato un primo libro di poesia ad appena ventuno anni, si dà al cinema la cui strada gli è indicata dal nume ancora ingombrante di un caro amico di suo padre: Pierpaolo Pasolini.
Il secondo, invece, Giuseppe, che pure cerca nel cinema un percorso tutto suo, non si tira indietro davanti alle lusinghe del teatro e scrive e dirige opere che restano personali malgrado i pesi ingombranti del genitore e del fratello che già hanno segnato un solco nel terreno rivoltato dopo la maggese del secolo appena passato.

La psicoanalisi, forse, è la strada migliore per capire la poesia di Attilio, così intessuta di quotidiano, così aperta alla scoperta della magia nel giro di versi dalla musicalità ampia e sorprendente. Ma è la strada adatta anche per seguire le orme di Bernardo che dedicandosi ai film cerca un altro modo di essere come il padre, rivendicando a ogni passo un debito che la critica stenta a riconoscere (Morandini intervistato nel film, lapidariamente chiude la questione dicendo che le due esperienze poetiche sono anzi quasi antitetiche). Ed è, infine, la strada doverosa per cercare di capire Giuseppe che riesce a farsi una strada tutta sua, in mezzo ai giganti. Una strada vera, autentica e bella, fatta di amore per gli attori e un senso di poesia forte e vero.

Armati di tre sguardi, Fulvio Wetzel, Laura Bagnoli e Danny Biancardi si accostano alla vicenda umana e artistica di questi tre grandissimi nomi della cultura italiana, decidendo di percorrere la strada più lunga e accidentata: da Proust, dalla ricerca del tempo perduto, dal recupero delle radici e di quella fase della vita che era tutto sole e che resta ora solo in un ricordo che abbiamo dimenticato di aver dimenticato.

Montando abilmente materiale di repertorio, filmati domestici, vecchie interviste, spezzoni di film e di spettacoli teatrali, con quelle dello sguardo indagante dell’oggi che scava l’immagine con le piccole handycam del cinema più leggero, i tre autori riescono nella non facile impresa di rendere il senso di un triplice percorso umano e artistico che ha lasciato davvero un segno grande.
La scelta a monte di Rubando bellezza (traduzione letterale italiana del titolo internazionale di quello che nei nostri cinema è arrivato come Io ballo da sola) è feconda e intrigante.
Senza mai cadere nell’aneddotico fine a se stesso, il documentario apre squarci di discreto lirismo sulle vite di tre persone e sul senso di un confronto generazionale che è rimasto sempre generosamente affettuoso anche nel naturale conflitto che spesso divide padri e figli.
Un film che ha il merito di raccontare con piana partecipazione una storia, senza perdere di vista un filtro analitico che serve a capire meglio e più a fondo il valore di tre poetiche esemplari. Così simili eppure così diverse.

Un film che ruba bellezza, ma per restituirne in parte la magia e il grato ricordo per le generazioni a venire.


(Rubando bellezza); Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Fulvio Wetzl, Laura Bagnoli, Danny Biancardi; con: Attilio Bertolucci, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci, Lucilla Albano Bertolucci, Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Fabio Bianchini, Morando Morandini, Luigi Menozzi, Angelo Tonelli, Remo Galeazzi; produzione: Fulvio Wetzl, Laura Bagnoli, Danny Biancardi; origine: Italia, 2016; durata: 94’


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