Rumore di cicale

L’Italia è da tanto tempo un paese per vecchi.
Anche dal punto di vista letterario, nonostante i premi concessi agli editori che decidono di investire sui giovani autori, il nostro è un paese in clamoroso decadimento.
Ci manca una strategia di qualità, incisiva, forte, densa. Una volontà reale di dar spazio ai giovani come facevano gli editori di un tempo: svezzando, allevando, suggerendo, aiutando il proprio autore a venire fuori da se stesso.
Invece oggi, la maggior parte degli editori è diventata un’evoluzione appena aggiornata della vecchia stamperia. Gli paghi un prezzo e ti pubblica il libro che avevi nel cassetto. Ti ci lascia dentro pure tutti i refusi, gli errori di battitura, le incertezze grammaticali che tanto chi se accorge più?
Tanto in un paese che legge sempre meno, quel che conta non è entrare nel dibattito culturale, ma spostare un libro dal cassetto dei desideri allo scaffale delle soddisfazioni personali. Non ci saranno occhi, nel frattempo, a leggere e la patente di dignità culturale la fornisce l’inserimento di un numero di codice internazionale. Il libro, infine, se lo vende l’autore, da solo, ad amici e parenti. Se ne ha voglia. Che tanto il suo numero di copie se l’è comprato e l’editore è rientrato nelle spese guadagnandoci pure qualcosa.
Questo senza, ormai, nessuno che si scandalizzi più. Triste merceologia del sottobosco culturale noto a tutti e sconosciuto ai più.
Con i giovani la prassi poggia poi sul più odioso degli stereotipi: che tanto ci hanno poco da dire e quel poco lo dicono male perché la scuola, in una dozzina di anni di obbligo di banco, ha fatto tutti i danni suoi.
Epperò…
Epperò poi ti capita tra le mani un libro come Rumore di cicale e dispiace che la prassi corra così tanto il rischio di nascondere, tra le sue pieghe, anche quel che l’Italia avrebbe da offrire di buono.
Perché Emanuele Gaetano Forte, che è un giovane scrittore che i suoi anni non li nasconde, è diverso dal prototipo televisivo che tanto ci sta davanti agli occhi quando pensiamo alle nuove generazioni.
Al meccanismo imperante del solipsismo culturale della solitudine videoludica imperante, il giovane scrittore oppone il bisogno sincero di un’osservazione attenta, capace di fermarsi al dettaglio minuto e spesso, improvvisamente illuminante.
Una cosa i suoi racconti dimostrano con forza inaspettata: la voglia di guardare, di cogliere, di far diventare ogni sguardo racconto. La sua è un’osservazione partecipe, dilatata, che accarezza le cose intorno con delicate carrellate che leggono e interpretano.
I suoi racconti sono espressione di un atto di vedere sincero e appassionato che solo a tratti si sporca del bisogno di un giudizio esterno.
Prendete un racconto piccolo piccolo come Storie di un matrimonio e ne avrete idea chiara. L’io narrante tende a sparire il più possibile, a farsi sguardo attento che vaga tra le persone di un pranzo di matrimonio raccogliendo storie, innescando suggestioni. Ogni volto è un romanzo possibile che respira solo nell’accenno del bozzetto. Lo scrittore guarda e si guarda, si riflette nello specchio del suo dire. Pagine minute, fitte di un linguaggio che flirta col teatro e la sua mimesi realistica di parlata e interpretazione, che ci dicono che i giovani italiani non sono tutti provini di Grande Fratello, che tra loro c’è anche chi ci guarda e cerca di capire e di capirsi. Così la televisione è anche protagonista dell’agile volumetto, me per essere osservata e non semplicemente subita.
Le pagine migliori di Rumore di cicale sono quelle in cui è più chiaro l’equilibrio tra l’osservazione partecipata e la sospensione del giudizio, quelle in cui l’epifania è pulita e il lettore è più libero di tirare le somme sui conti del narrato. Come in Di un azzurro indifferente che racconta le crisi di coscienza di un bambino in cui la fede muore prima ancora d’esser nata e in cui si affastellano, senza ridursi a facile ricatto, tante possibili tragedie del farsi grandi. Forse il racconto più bello di tutta l’antologia.
Altrove, si affaccia un bisogno di ideologia che un poco sporca l’esigenza di guardare col bisogno di sovrapporci un’interpretazione. Come ne I pregati che tiene, però, un occhio interessante sul vissuto di provincia.
Solo a tratti l’ambizione allo spaccato generazionale (Minculpop) ha ali troppo piccole per il bisogno urgente di volo. Una storia che Emanuele Gaetano Forte si porta dietro da tanto (è stato anche soggetto di un cortometraggio diretto dallo stesso autore), ma che soffoca ancora nell’eccesso di personaggi e linee narrative. Anche qui, però, l’attenzione all’osservazione minuta crea piccole isole d’incanto che sono importanti.
Nel complesso Rumore di cicale è una raccolta piacevolissima in cui sorprende l’impressione di una musica suonata a orecchio, libera e improvvisativa che andrebbe conosciuta. Speriamo che Il foglio editore, che tanto sta investendo nella scoperta di nuovi talenti, sappia far tesoro di questo testo che ha felicemente messo in catalogo.
Autore: Emanuele Gaetano Forte
Titolo: Rumore di cicale
Editore: Edizioni Il Foglio
Collana: Narrativa
Dati: 160 pp, brossura con alette
Anno: 2013
Prezzo: 14,00 €
Isbn: 978-88-7606-412-8
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