Sangue

Analizzare il documentario Sangue di Pippo Delbono è come scattare un’istantanea sulla cultura del paese italiano negli ultimi trent’anni: prima dell’opera finita si commenta (non si critica) l’idea e il contenuto collegandola ad ideologie politiche o riconducendola alla realtà attuale senza utilizzare alcuna categoria estetica per cercare di interpretarla e comprenderla (e farla comprendere al pubblico). Se poi c’è di mezzo un tema-tabù radicato nell’opinione pubblica, il più delle volte questo viene interpretato non come un’occasione di discussione e crescita culturale, ma come un possibilità di violenza verbale e rimozione.
Sul film di Delbono, unica presenza italiana in concorso ufficiale all’ultimo Festival di Locarno (edizione 66) e vincitore del premio Don Chisciotte, si è scritto di tutto senza però cercare di analizzare l’opera filmica per la sua forma e il suo contenuto.
Pippo Delbono è un attore e regista teatrale, che da anni lavora attraverso l’omonima compagnia (composta da attori, danzatori, musicisti e persone che provengono da incontri ed esperienze limite). E’ considerato uno dei maestri più innovativi della scena teatrale contemporanea. Da dieci anni si dedica anche con originalità e successo al cinema (il suo film documentario di esordio Guerra del 2003 partecipò al Festival di Venezia e vinse il David di Donatello nella sua categoria) cercando - unico o uno dei pochi in Italia - di lavorare con mezzi video leggeri e oggi alla portata di tutti. Se questo tipo di sperimentazione tecnologica all’estero è già più diffuso, in Italia invece rimane ancora marginale. Un segno autoriale da seguire e che permette di far utilizzare lo strumento criticamente dalle nuove generazioni: la poesia attraverso le immagini di un piccolo dispositivo portatile è qualcosa che ha sempre affascinato l’uomo e la visione, proprio come gli esperimenti della camera stilò del pre-cinema. E Pippo Delbono questo sembra averlo compreso molto bene attraverso i suoi film.
Ritorniamo al documentario.
Sangue racconta lo strano incontro tra Pippo Delbono, artista e buddista, e Giovanni Senzani, ex leader delle Brigate Rosse. Il loro incontro è l’incrocio di due storie con epilogo drammatico: la madre di Delbono, Margherita, fervente cattolica, e Anna, moglie di Giovanni, contraria da sempre alla lotta armata, che ha deciso di accudirlo e sostenerlo per ventitrè anni di prigionia.
Per Pippo Delbono, il racconto della morte è l’occasione per affrontare i temi dell’amore, della vita, delle rivoluzioni e del sangue.
Il film è costruito come un lungo flusso di ricordo, pensiero e parola, composto da materiale video privato e colto tra i due protagonisti.
La riflessione di Delbono comincia dalla città de L’Aquila, con le sue macerie e la spettralità, uno dei simboli dell’Italia tradita e ferita degli ultimi anni.
Questo inizio politico di Delbono è come un filo rosso per orientare il pubblico ad una riflessione personale su un dramma e delinare un punto di vista su quello che gli ideali e le ideologie della lotta brigatista hanno costruito sulla realtà odierna.
Il suo documentario è lungi da essere una testimonianza giornalistica sul fenomeno "brigate rosse e anni di piombo"; se lo fosse stato sarebbe stato costruito diversamente sotto il profilo della narrazione, ma è invece una meditazione, dal punto di vista politico, sul blocco e la sospensione civile e politica (nell’alto senso del termine) dei giorni nostri.
Lo stesso incontro casuale tra Delbono e Senzani non possiede nulla di giornalistico, è semmai un racconto per descrivere la loro relazione e il loro rapporto nel film. Le confessioni dello stesso ex-brigatista, all’interno del film, sono delle testimonianze private (soggettive) di fatti storici pubblici, utili ad aggiungere elementi drammaturgici alla figura di Senzani nella storia del film, ma non al personaggio storico.
Il ritratto che ne emerge è di un Senzani oggi (terrorista che ha scontato la pena) e non della mente criminale e terroristica degli anni Settanta e Ottanta (periodo storico chiuso, come viene affermato dallo stesso all’interno della pellicola).
A questo si aggiungono le molteplici riflessioni sull’amore, la vita, il dolore, la rabbia, la violenza e la rivoluzione che riconducono al fluido organico dell’uomo, ovvero il sangue del titolo.
Pensare dunque a Sangue come ad un film sulle Brigate Rosse è assurdo, dal momento che uno dei co-protagonisti è Senzani.
Come è un errore altrettanto ridicolo non considerare il documentario come una forma narrativa (di finzione).
Le critiche emerse dalla presentazione a Locarno hanno deviato la discussione sull’opera, finendo, come è solito in Italia, sul contenuto politico del film.
Delbono non è un giornalista, ma il protagonista e il regista di questa storia.
Perché ridurla a mero fenomeno storico senza interpretarlo?
(Sangue); Regia: Pippo Delbono; sceneggiatura: Pippo Delbono; fotografia: Pippo Delbono; montaggio: Fabrice Aragno; musica: Victor Deme, Pietro Mascagni, Stefan Eicher Camille; interpreti: Pippo Delbono, Giovanni Senzani; produzione: Compagnia Pippo Delbono Casa-Azul films con la partecipazione di Cinémathèque suisse, RSI Radiotelevisione svizzera, Vivo film in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: nome del distributore italiano; origine: Italia/Svizzera, 2013; durata: 90’;
