SIX FEET UNDER
Esiste un solo pensiero che occupa la mente più della nostra vita: la morte. Si lavora perché si muore. Le filosofie, le religioni, le discipline politiche e quelle giuridiche hanno tra i loro fondamenti proprio la fine dell’uomo. Si sono costruite intere metafisiche basate sul nostro “essere per la morte”. Viviamo in una società ossessionata dalla morte (si vedano i trapianti e i traffici illeciti di organi o gli studi di genetica) e che per sopravvivere è giunta al folle progetto di instaurare uno stato di conflitto permanente, ossia ha pianificato il dare morte con armi di sterminio e guerre preventive... a fin di bene.
Cerchiamo disperatamente di comprendere l’atto finale della nostra vita, proviamo a elaborare il lutto o a esorcizzarlo, ma alla fine tutto questo si rivela profondamente illusorio perché della morte non arriveremo mai a farne una concreta esperienza, se non in modo indiretto. Poco prima vedremo forse una luce o forse l’intero percorso della nostra esistenza, ma quando ci alleggeriremo dei fatidici 21 grammi...
Si potrebbe continuare indubbiamente con più acume (bisogna pur accettare la propria inadeguatezza quando si parla di certi argomenti) nel riconoscere che il concetto di morte pervade la nostra esistenza. Per fortuna qui si parla di cinema, anzi di televisione, e allora possiamo permetterci qualche leggerezza in più. Per la precisione l’oggetto del contendere è una serie tv americana di successo: Six Feet Under, nata dalla felice penna di Alan Ball, sceneggiatore di American Beauty. Fatto non trascurabile, quest’ultimo, e vedremo alla fine perché.
Forse per noi italiani arrivati solo al quinto episodio è ancora presto per trarre delle conclusioni e dunque non è escluso che di Six Feet Under riparleremo in seguito. Sta di fatto che in queste prime puntate oltre alle bizzarre vicende della famiglia Fisher, l’altro elemento ricorrente è la morte che sopraggiunge in modo improvviso e spesso tragicomico, a partire da quella del patriarca della famiglia Fisher.
Nessuno dei futuri defunti sa quale tragico destino l’attenda. Nessuno di loro sta giocando la fatidica partita a scacchi come ad esempio accade ai protagonisti di E.R. o alle vittime di una detective story. Piuttosto, lo sfortunato cammina per la sua strada inconsapevole che dietro l’angolo ad attenderlo vi sia la falce che non fa differenze di ceto e di qualsivoglia ordine sociale precostituito.
E’ un dato importante da sottolineare perché in questa serie tv, al contrario di altre, la morte è vista come un momento sorprendente che sottrae l’individuo al disordine cosmico della vita quotidiana. Passati dall’altra parte della barricata, i defunti sono come liberati dal caos e infatti riappaiono ai Fisher finalmente consapevoli di cosa sia la vita. Hanno una visione d’insieme e sono pronti a dare consigli, a tendere quella mano che durante la loro esistenza probabilmente avevano sempre ritratto.
Curiosamente Six Feet Under, che per cinismo e sarcasmo dovrebbe essere una serie televisiva ancorata saldamente al terreno (addirittura sei piedi sotto terra), è una delle più spirituali tra quelle che abbiamo seguito finora.
I morti sanno tutto (altro che tenenti di polizia, agenti FBI, primari ospedalieri e vampiri): essi e solo essi “vivono” nell’autenticità. E’ questo il marchio di fabbrica di Alan Ball. Lo avevamo notato anche in American Beauty, con il protagonista interpretato da Kevin Spacey che da defunto guarda il mondo dall’alto e può raccontare la propria e altrui storia con disincanto compiaciuto.
Le singole vicende sono indubbiamente minimaliste e raccontate con un cinismo ricco di humour, ma questo accade oramai in molte fortunate serie che affrontano con disinvoltura i problemi sessuali, familiari e più in genere esistenziali. Ciò che contraddistingue il pensiero di Ball è il fatto che resti profondamente ancorato alla più classica delle metafisiche: per capire il mondo bisogna essere oltre il mondo stesso. Il corpo finisce sottoterra e sarcasticamente si fa in modo che ci vada con il miglior aspetto possibile. L’anima invece, come il coro delle tragedie greche o il filosofo che esce dalla caverna, si emancipa dalla mera quotidianità e assume quella posizione di spettatore privilegiato che comprende e vede ciò che dentro il mondo terreno degli affari umani non si percepisce.
[aprile 2004]
Cast & Credits:
regie: Miguel Arteta, Daniel Attias, Alan Ball, Kathy Bates, Lisa Cholodenko, Allen Coulter, Michael Cuesta, Michael Engler, Rodrigo García, Nicole Holofcener, Jim McBride, Daniel Minahan, Karen Moncrieff, John Patterson, Jeremy Podeswa, Alan Poul, Alan Taylor, Rose Troche; sceneggiature: Laurence Andries, Alan Ball, Scott Buck, Rick Cleveland, Bruce Eric Kaplan, Nancy Oliver, Kate Robin, Jill Soloway, Christian Taylor, Christian Williams, Craig Wright; direttori della fotografia: Alan Caso, Bruce Douglas Johnson, Lowell Peterson; montaggio: Tanya M. Swerling, Michael Ruscio, Ron Rosen, Christopher Nelson, Sue Blainey; musica: Thomas Newman; interpreti: Peter Krause, Michael C. Hall, Frances Conroy, Lauren Ambrose, Rachel Griffiths, Freddy Rodríguez; produzione: Laurence Andries, Maurice Marable, Kate Robin, Christian Taylor;
messa in onda: (prima serie) da mercoledì 31 marzo 2004 ogni settimana; orario: 23:00; rete televisiva: Italia 1.