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Speciale Americana - Jack Bauer, Cuore in Split-Screen

Pubblicato il 1 aprile 2009 da Sergio Sozzo


Speciale Americana - Jack Bauer, Cuore in Split-Screen

C’è un film di Jan Sverak, uno dei pochi suoi realmente interessanti, che si chiama Akumulator 1. E’ la storia di un ragazzo a cui ogni apparecchio televisivo acceso che gli si trova vicino prosciuga tutte le energie vitali, dal giorno in cui la sua immagine è finita per caso in un notiziario: da allora, il suo doppio vive dentro lo schermo, svernando attraverso i palinsesti e saltando di trasmissione in trasmissione, nutrendosi appunto delle forze vitali del suo corrispettivo in carne ed ossa, sempre più indebolito a causa della vita propria e indipendente della sua immagine catturata dalle telecamere.
Il bizzarro film di Sverak può tornare in mente diverse volte, nel corso della visione di Redemption, il film-tv di 24, ancora inedito in Italia, realizzato come ponte di collegamento tra la sesta e la settima stagione della serie.

Alla ricerca di una redenzione, Jack Bauer si nasconde dai numerosi mandati di comparizione, che lo vanno perseguitando nel mondo occidentale per esserci andato giù un po’ troppo pesante con i cattivi delle precedenti 6 giornate, dando una mano all’amico Robert Carlyle che si prende cura dei bambini nel disastrato villaggio sudafricano di Sangala. Purtroppo gli odiosi burocrati lo raggiungono anche lì, e così Bauer fa fagotto per non doversi presentare all’ambasciata USA, e per non dare rogne all’amico.
E c’è una sequenza che si ripete identica almeno due volte, nell’arco delle due ore reali di durata dell’avventura africana di Jack in Redemption: l’eroe si è già messo in marcia per scomparire, alla volta del prossimo villaggio dovunque esso sia – è di spalle, allontanandosi dall’inquadratura, quando un evento a sorpresa puntualmente lo costringe a tornare sui suoi passi.
Jack Bauer non può uscire di scena – semplicemente, non ci riesce. I suoi peccati, l’agente anti-terrorismo che non è certo uno stinco di santo quando si tratta di farla pagare ai cattivoni senza scrupoli che minacciano il Mondo, non può nasconderli: purtroppo per lui, li abbiamo tutti quanti visti in diretta, dato che le telecamere di 24 lo seguono minuto per minuto nell’arco delle sue eroiche giornate di lavoro. Abbiamo sezionato la sua anima in split-screen, abbiamo impresso su nastro ogni sua malefatta con la stessa perentorietà dei cupi rintocchi dell’orologio digitale che scandisce il passare del tempo nell’arco delle puntate.
L’unica redenzione possibile, per Jack Bauer (e per Kiefer Sutherland, che al cinema pare non aver mai conosciuto un’innocenza, sin dai tempi di Stand by Me o Ragazzi Perduti, per arrivare alle sue colpe riflesse negli specchi di Mirrors poco tempo fa…), va scontata in onda: non è un caso se quello che probabilmente resta l’unico momento in cui la mdp perennemente agitata, scattante, nervosa e traballante di 24 sembra placarsi restando ferma, è quel sorprendente pianto a dirotto di Sutherland chiuso nell’abitacolo della sua auto, con cui si conclude la terza stagione della serie (ad oggi, forse ancora la più bella): sono gli ultimi 5 minuti di quelle 24 ore, e sono rotti dalla radio che chiama Bauer a rapporto all’improvviso – ancora una volta, Jack non può eclissarsi, non è destinato a fermarsi.

Come mentre sta andando via da Sangala, e le truppe del colonnello Juma, che prepara un colpo di Stato (spalleggiato dal sordido faccendiere della Casa Bianca Jon Voight a Washington) attaccano il villaggio per sequestrare tutti i bambini allo scopo di addestrarli e farne un esercito spietato di baby soldati: Jack Bauer, chiaramente, non può permetterlo, e armato il cane della sua pistola, si mette subito in azione. Riuscirà a far giungere il drappello di piccoli africani sino al cancello dell’ambasciata, dove sarà costretto a sacrificarsi e a barattare la sua destituzione ai tribunali americani in cambio del trasferimento di tutti i piccoli negli Stati Uniti, al sicuro.
Perché Jack Bauer è l’Akumulator della coscienza d’America: tutti i peccati che la nazione per la quale si immola va consumando nelle sue guerre, nelle sue ingiustizie, nelle sue prepotenze, Bauer se li accolla, li sconta, li espia – è pronto a sacrificare tutto, la vita sua, dei suoi cari, dei nemici che si trova davanti, pur di lavare il sangue su cui sembra basarsi il sogno (di pace) americano, incarnato dai vari carismatici Presidenti dei quali si è trovato ad essere il braccio armato.
Stanato così in un angolo sperduto del Pianeta, Jack non può sottrarsi ancora una volta a tornare ad incarnare il ruolo del cavaliere oscuro in questa gigantesca Gotham che è il suo Paese, a svolgere il lavoro sporco per il bene della Causa.
Agnello sacrificale catodico, Jack Bauer dimostra così, nonostante i suoi sforzi disumani di provare il contrario, che ci sono delle zone d’ombra che restano, nelle storie ufficiali che si tramandano nei documenti ‘in diretta’ – e che nessuna luce dei riflettori può essere tanto forte da dipanarle, nessuno zoom ottico tanto potente da stanarle, nessuno split-screen tanto chirurgico da individuarle.


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