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Speciale Brit TV - God save the BBC

Pubblicato il 30 luglio 2009 da Lorenzo Vincenti


Speciale Brit TV - God save the BBC

“Britannia, Britannia, Britannia. Terra di conquiste tecnologiche. Abbiamo l’acqua corrente da più di dieci anni, un tunnel sotterraneo che ci collega al Perù ed abbiamo inventato il gatto. Ma nessuna di queste innovazioni sarebbe stata possibile, se non fosse stata fatta per la popolazione della Gran Bretagna. Ed è a quelle persone che guardiamo noi, oggi. Facciamolo!” Little Britain , show comico della BBC scritto e interpretato da Matt Lucas e David Walliams.

Il Roma Fiction Fest 2009 ha chiuso i battenti da circa un mese ormai e come nella migliore tradizione sembra essere arrivato il momento di dare libero sfogo a tutte quelle riflessioni sorte a margine di manifestazioni interessanti come quella appena trascorsa. Uno di questi pensieri sparsi, nato un po’ per caso dall’osservazione recente di un fenomeno televisivo che l’Orange Carpet non ha di certo trascurato, riguarda la serialità inglese e il ruolo che essa va guadagnando con sempre più forza nel mercato televisivo mondiale.
Discutere sulle qualità intrinseche della televisione britannica o sulle caratteristiche di un’offerta capace di includere nel proprio range prodotti complessi e al contempo invidiabili, non è di per sé una novità assoluta.
Siamo stati abituati infatti a pensare nel tempo alla tv inglese e ai suoi innumerevoli prodotti come al meglio che l’Europa potesse offrire in termini qualitativi; anche se non è stato mai evidente come in questi ultimi tempi l’influenza sempre più rilevante che essa riesce ad esercitare sul resto dei mercati.
E’ sufficiente pensare all’elevata percentuale di esportazioni di format originali verso un territorio storicamente rivale come gli Stati Uniti, al numero delle coproduzioni internazionali avviate o al pressoché totale equilibrio con la potenza americana per ciò che concerne la freschezza dei linguaggi adoperati e la capacità di esplorare nuovi territori dell’immagine all’interno dei seriali (da più parti considerati erroneamente come territorio impermeabile agli sperimentalismi), per comprendere definitivamente il livello qualitativo e la potenza di espansione raggiunta da questa new wave televisiva britannica.

Una televisione figlia della Doctor Who Generation, che nasce dalle ceneri di un’epoca passata in cui network istituzionali e riconosciuti come BBC e Channel 4 costituivano il luogo deputato alla crescita professionale di futuri cineasti di livello come Ken Loach (magistrale il suo Cathy come home), Stephen Frears e Mike Leigh e che, oggi invece, grazie all’apporto di personalità del calibro di Paul Abbott, Adrian Hodges, Matthew Graham (solo per citarne alcune), decide di reinventare se stessa omaggiando la nobiltà di un passato glorioso, guardando al contempo a una tecnologia sempre più raffinata e a uno sviluppo costante di tematiche innovative.
Tralasciando in questo approfondimento l’analisi di serie televisive ormai riconosciute come The Office, già riprodotta dall’americana NBC, o Life on mars, la cui struttura ha reso possibile la creazione di un vero e proprio brand che ha già dato il suo clone statunitense e che al più presto porterà all’atteso remake nostrano. Sorvolando sull’importanza ormai consolidata di prodotti come Hustle, Skins e Shameless (quest’ultimo in particolare meriterebbe un discorso a parte), dei quali Roma ha avuto il privilegio di accogliere le nuove ed inedite stagioni; o sulla potenza di Burn up, miniserie ormai riconducibile all’anno televisivo passato che a Roma si è affermata nella sezione di appartenenza (è di prossima uscita il dvd), preferiremmo soffermarci maggiormente sull’ultimissima ondata di novità provenienti dal Regno Unito, analizzando ciò che più ci ha colpito durante il Festival romano e azzardando, all’inizio di questo nostro breve percorso, una deviazione apparentemente anomala ma, in realtà, più che mai opportuna.

Scorrendo velocemente la lista dei vincitori dell’edizione 2009 sorprende vedere infatti l’affermazione nel concorso riservato alle serie tv lunghe di Londynczycy, un piacevole prodotto proveniente dalla Polonia la cui essenza è però profondamente legata alla cultura, al territorio e alla contemporaneità britannica.
A dispetto di quanto si possa immaginare non esiste, a nostro avviso, modo migliore per inaugurare un discorso sulla serialità inglese di quello che prende in esame il punto di vista di chi l’Inghilterra la vive come ospite. The londoners, questo il titolo internazionale della serie prodotta dal network polacco TVP e ideata da Greg Zgliński, fornisce infatti un immagine conosciuta del Regno Unito ma di cui non era stata fornita prima d’ora nessuna concreta rappresentazione sul piccolo schermo. Lo stupendo affresco di un paese multietnico, incrocio di culture, razze e religioni differenti, è sintetizzato al meglio dall’immagine di una Londra in continuo movimento, in cui la frenesia comanda sul tempo. La capitale per eccellenza del meltin’pot e dell’apertura verso l’esterno viene magistralmente racchiusa nei confini di una cornice suggestiva in cui l’incontro scontro tra identità e immigrazione fa da sfondo ad un sostrato sociale nascosto, pieno di storie che si intrecciano ed immigrati che patiscono.

Quasi a voler degnamente riprendere la tradizione del già citato Loach, Zgliński mette in scena patimenti e sofferenze delle classi più deboli, costrette per necessità a separarsi dai propri cari rimasti in patria, a delinquere se necessario o a subire le ingiustizie di una società menefreghista. L’orgoglio dei polacchi raccontati da questo giovane autore esplode così in una serie di immagini stupende, rinvigorite dalla freschezza di un digitale che ben si coniuga con il dinamismo delle strade londinesi (per una volta secondarie rispetto alla potenza di quei corpi). Volti di combattenti, espressioni sofferenti, facce vissute costituiscono l’essenza di un viaggio lungo ed estenuante, durante il quale i compromessi, i ricatti e i sacrifici solitamente celati dietro l’imperturbabilità di uno sguardo vengono di volta in volta scoperchiati dall’occhio indiscreto e caritatevole di Zgliński. Un lavoro genuino e sincero che oltre a rivelare la vivacità della tv polacca, fornisce un ritratto dell’Inghilterra odierna impietoso e al contempo commovente.
Poco distante da Ealing, luogo in cui risiede la comunità polacca raccontata da Londynczycy, sorge un altro importante quartiere chiamato Shepherd’s Bush al cui interno trova ospitalità un’ulteriore colonia di immigrati: quella ugandese. In questa suggestiva ambientazione londinese si svolge invece l’avventura noir di Moses Jones, miniserie in tre parti presentata nella sezione corrispettiva del RFF 2009 e vincitrice di due importanti premi assegnati rispettivamente all’attrice Wunmi Mosaku e allo sceneggiatore Joe Penhall (to be continued...)


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