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Televisionarietà - Casa Saddam

Pubblicato il 24 marzo 2009 da Lorenzo Vincenti


Televisionarietà - Casa Saddam

Il 30 dicembre 2006 si consumava in una zona non precisata nei dintorni di Baghdad l’esecuzione di uno dei più sanguinosi dittatori che la storia recente dell’umanità abbia conosciuto. Il leader iracheno Saddām Hussein Abd al-Majīd al-Tikrītī, noto con il nome di Saddam Hussein, veniva giustiziato davanti agli occhi del mondo intero per effetto della condanna a morte impartitagli dal tribunale speciale iracheno per crimini commessi contro l’umanità. Il 17 e 18 marzo scorsi, dopo poco più di due anni da quell’esecuzione, il pubblico italiano ha avuto finalmente la possibilità di ripercorrere le principali tappe della vita del criminale grazie ad una miniserie in 4 puntate (accorpate in due serate da Sky), realizzata in co-produzione dal network americano HBO e dall’inglese BBC Television.

La collaborazione anglo-americana ha avuto come obiettivo principale quello di scrivere la pagina conclusiva di una storia che, tra mille sofferenze e spargimenti di sangue, ha attraversato decine e decine di anni della storia contemporanea, catturando l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Era in un certo senso preventivabile un’ultima parola che andasse oltre le barriere della cronaca e del giornalismo e sfociasse in una dimensione finzionale. Non solo perché la storia, come sappiamo, si presta in maniera splendida alla trasposizione cinematografica o all’adattamento televisivo, ma anche perché la porzione di dittatura di Saddam, compresa tra i primi anni ’90 e la caduta del regime, si è affermata come momento di impatto mediatico clamoroso; definito “storico”, quindi, non solo perché narrato dai libri di scuola, ma anche perché ha costituito un vero e proprio evento speciale. E’ quindi giusto pensare alla fiction House of Saddam come ideale prosecuzione di quello spirito partecipativo, nuovo e in un certo senso delirante, iniziato anni addietro con il punto di vista di un reporter e proseguito oggi con l’utilizzo innovativo di forme e linguaggi capaci di intercettare la domanda dell’assuefatto pubblico audio-visivo. La fiction, intesa come moderno strumento di diffusione che sorpassa la realtà e trascina lo spettatore in zone in cui non ha mai potuto avvicinarsi, sembra ormai declinare meglio di altri mezzi o comunque in maniera molto più agile e attraente, i racconti segreti della storia e le dinamiche dei tempi recenti. Non è nemmeno un caso, poi, che questa operazione sia nata da una collaborazione televisiva tesa a costituire la continuazione simbolica di un asse, quello tra inglesi e americani, che sul campo di battaglia ha rappresentato la principale opposizione al regime di Saddam e che, dal punto di vista mediatico, ha contribuito nell’epoca moderna alla realizzazione della più imponente opera di persuasione e massificazione che si sia mai realizzata. Potremmo quindi definire Casa Saddam il frutto di un destino scritto, un’operazione commerciale che, nell’attirare l’attenzione del pubblico, sembra voler apporre un preciso marchio di fabbrica su una vicenda universale, con l’intento di ribadire la superiorità del vincitore sul nemico tramite l’assorbimento progressivo di quest’ultimo negli ingranaggi dell’entertainment occidentale. Quasi a voler distruggere con l’arma irridente della spettacolarizzazione, e quindi della leggerezza, ciò che di (inspiegabilmente) solenne Saddam ha voluto costruire attorno alla propria immagine.

Non per questo però Casa Saddam è da considerarsi opera di poco conto, o banale. Tutt’altro. Quando ad essere coinvolti in un progetto sono infatti due colossi del calibro di HBO e BBC, il risultato non può non raggiungere livelli di straordinaria qualità. Primo degli elementi a risaltare in un’opera così complessa è senza dubbio la sceneggiatura. Sul versante della costruzione la miniserie si pone sulla scia di una tradizione di sicuro successo in cui la tendenza principale è la cosiddetta contaminazione linguistica. L’opera di commistione tra diversi generi, linguaggi e stili costituisce ormai la moderna via verso cui la televisione e non solo, indirizza i propri sforzi. Gli autori in questo caso, consapevoli di tale necessità, si dimostrano particolarmente abili nel saper gestire una moltitudine di tendenze, tutte importanti e tutte egualmente alimentate da una sceneggiatura che non lascia nulla di intentato. Partendo da una struttura narrativa di base che ripercorre le principali tappe di Hussein e del suo paese, dall’ascesa al potere fino al momento della cattura, Casa Saddam arriva a concedere continuamente delle importanti deviazioni. Come quella in direzione di una interessantissima perlustrazione intima del leader e dei suoi familiari, tutti adeguatamente raccontati nelle loro debolezze, nei difetti e nelle peculiarità caratteriali. Se l’importanza del personaggio Saddam come nucleo centrale della storia è fuori discussione, si può dire altrettanto anche di quel microcosmo sociale costituito da parenti, amici, collaboratori e adepti su cui si basa il reale funzionamento del binomio Casa-Iraq. Anche il titolo così curioso, vuole in un certo senso porre l’accento sull’importanza del carrozzone che ruota attorno al dittatore. Dai figli Uday e Qusay, alla sua ex moglie, dalle figlie femmine ai suoi generi traditori, dalla seconda compagna di vita ai suoi più fedeli consiglieri, sono tutti adeguatamente raccontati nella miniserie e tutti contribuiscono in egual misura alla tessitura di una ragnatela molto intrecciata fatta di avvenimenti, rivalità, scontri, passioni e colpi di scena. Una struttura complessa ed affascinante che in alcuni casi sembra addirittura voler evadere dagli schemi della serialità breve e andare a richiamare i meccanismi più classici della soap opera. L’elemento che affascina lo spettatore è il carattere voyeuristico che anima i quadri d’interno approntati dal regista, tutti così poco invasivi nei confronti di uno spazio sconosciuto al pubblico e tutti molto efficaci nel saper restituire le dinamiche e i movimenti della quotidianità di una casa importante. Ma i deragliamenti narrativi non si interrompono con il ritratto intimistico dei personaggi, anzi. Alla complessità della storia contribuiscono inoltre l’influenza lieve ma riconoscibile del melodramma, la presenza contenuta di piccole pillole di cronaca, inserite ogni tanto nel racconto per ricondurre la visione dello spettatore all’interno di un contesto a volte eluso dalla finzione e, come sostenuto dagli sceneggiatori stessi, una forte devozione nei confronti della tragedia shakespeariana e dei film di mafia.

Ma Casa Saddam è opera completa. La finezza della scrittura, infatti, non rimane fine a sé stessa ma usufruisce del traino positivo di una fotografia affascinante che strizza l’occhio alla fiction moderna ma che non disdegna neanche, in taluni casi, il ricorso ad una composizione di natura classica, molto più sobria e composta di quanto si possa immaginare. Il piano fisso è generalmente preferito al movimento di macchina proprio per soddisfare una esigenza di penetrazione continua e costante sugli ambienti e sui personaggi, per alimentare una meditazione dello spettatore su tutto ciò che di nuovo e sconosciuto la serie presenta. Nelle scene girate all’interno del palazzo o nei luoghi ufficiali della politica irachena i colori assumono una espressione decisamente patinata, quasi a voler ribadire la natura artificiosa dell’opera e la necessaria ricostruzione di momenti non del tutto reali, mentre al di fuori degli ambienti chiusi la fotografia, sulla scia dei numerosi war movie recenti, diviene molto più squilibrata, polverosa, con movimenti leggermente irregolari ma mai realmente scomposti. Il vero valore aggiunto dell’opera però rimane il suo cast, molto ben assortito, equilibrato, composto da attori esperti e ben inseriti nel contesto. Il protagonista Yagal Naor, impressionante nella sua somiglianza all’ex leader iracheno, regala un’interpretazione di Saddam straordinaria, fatta di momenti drammatici e attimi di profonda riflessione, scatti d’ira improvvisi e momenti incredibilmente teneri (nei confronti dei familiari). Una performance capace di far captare, in minima parte e per pochi attimi, la condizione psico-fisica che si nasconde dietro la corazza di un freddo dittatore.

Molti pregi e pochi difetti quindi per quest’opera. Anzi a dire la verità quasi nessun difetto. Le quattro ore della serie infatti scorrono in maniera assolutamente fluida, senza che nessun "attentato" riesca a mettere a repentaglio una solidità difficilmente paragonabile ad altri lavori e, quello che più conta, senza che nulla mai interferisca concretamente sull’attenzione di un pubblico molto sensibile ad un’opera così costruita. Una miniserie completa ed efficace capace varamente di catturare ogni fascia di pubblico, tranne forse quella più giovane.


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