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Televisionarietà – Il Gatto di Schrodinger e le Peliculas Para No Dormir

Pubblicato il 17 luglio 2008 da Sergio Sozzo


Televisionarietà – Il Gatto di Schrodinger e le Peliculas Para No Dormir

L’idea è questa: c’è un gatto chiuso in una gabbia, insieme ad un congegno infernale che funziona ad atomi radioattivi, i quali pare che possano da un momento all’altro decadere, come si dice – in tal caso, l’atomo disintegrandosi attiverebbe un martelletto che, rompendo una fiala di cianuro, ucciderebbe il gatto. Ma dato che non abbiamo alcuna certezza della sorte dell’atomo, così non possiamo averla della sorte del gatto. Sin quando non decidiamo di dare un’occhiata alla gabbia, dunque, il gatto ha lo stesso numero di probabilità di crepare che di scamparla – indi, nello stesso istante, l’animale sperimenta entrambe le condizioni: potenzialmente, è sia vivo che morto.
Una delle cose più affascinanti di questa storiella, citata nell’episodio di De La Iglesia e arcinota come il paradosso di Schrodinger (1935), è che il fato, per avversarsi, dev’essere osservato: e cioè che abbiamo assolutamente bisogno di una verifica che può attuarsi solo guardando.
Dunque, i personaggi protagonisti di questi sei mirabili episodi che compongono la serie Peliculas Para No Dormir, realizzati in Spagna nel 2006, intravisti a Venezia lo stesso anno, dove fu proiettata la puntata di Balaguerò, Para entrar a vivir, e finalmente recuperati all’appena conclusosi RomaFictionFest 2008, sono come tanti gatti in gabbia: e a noi spettatori, come agli autori delle opere, non resta che stare ad osservare gli effetti dell’esperimento – si romperà, la fiala di cianuro?

L’exploit del grande Jaume Balaguerò (Nameless, Darkness, Fragile) visto al Lido in una proiezione notturna ravvivata da urla, schiamazzi e risate del pubblico manco fossimo in un drive-in (con assoluto compiacimento del regista presente in sala), è da questo punto di vista paradigmatico: giovane coppia in cerca di un appartamento incappa in affittacamere folle che incatena gli abitanti di un intero condominio nelle varie stanze degli appartamenti, costringendoli in pose ’tipiche’ della quotidianità familiare, come lavare i piatti o leggere il giornale a tavola.
Tutto girato con la solita maestria di Balaguerò (che toccherà probabilmente la vetta col successivo, ineffabile REC) nella costruzione della tensione (e dei meccanismi dello spavento, che gli riesce puntualmente con particolare efficacia) a partire dalla banalità di situazioni all’apparenza innocue, e attraverso l’utilizzo di elementi mai propriamente orrorifici, ma resi tali. Ciò che interessa notare però è come la sostanziale costrizione ad una prigionia di immobilità dei personaggi sia acutizzata dalla tortura del guardare, con l’anziana signora che si bea attraversandolo del suo palazzo adibito a zoo umano.
Volendo, la si potrebbe ribaltare in una allegoria del piccolo schermo, con questo pugno di fantastici registi di ’cinema di genere’ impegnati in film di circa un’ora rinchiusi, racchiusi, imprigionati dalla destinazione dichiaratamente televisiva.

Ben lo sa il ’coordinatore artistico’ dell’intera serie, il baldanzoso 73enne Narciso Ibanez Serrador, passato già alla storia per il cultissimo e cattivissimo Come si può uccidere un bambino? (1976), e responsabile di una storica serie tv horror spagnola come Historias para no dormir, a cui questa nuova tornata chiaramente s’ispira.
Serrador dirige da par suo La culpa, l’episodio tra i sei (comprese le non certo esaltanti peliculas di Enrique Urbizu, Adivina quien soy, e Regreso a Moira di Mateo Gil, lo sceneggiatore preferito da Amenabar) più ancorato ad un’idea particolarmente ’datata’ di messinscena. Eppure, anche la sua storia misteriosa e un po’ confusa di feti abortiti in una clinica privata al piano terra di un vecchio minaccioso casolare, che improvvisamente riprendono vita e si vendicano di chi li ha buttati via - e risolta con un utilizzo a tratti ’polveroso’ di false soggettive, metafore morali, maniglie di porte di stanze vuote che ruotano, rumori in soffitta, pallide bambine bionde spaventevoli, e donne impazzite che vedono i fantasmi - ha in qualche modo a che vedere con un rinchiudersi: l’infermiera personale della dottoressa tenutaria della clinica infatti, trasferendosi a vivere insieme alla piccola figlia nelle stanze del casolare al piano di sopra che la donna usa come abitazione, non sa di essersi cacciata in un labirinto inestricabile di vicine di casa fanatiche religiose, avances lesbo, presenze dal passato, porte che non si possono aprire.
Tutto sotto l’occhio e l’orecchio vigilissimi della vicina ficcanaso: l’impulso di impicciarsi di quel gatto nella gabbia insieme all’atomo e al cianuro è troppo forte.

Sin da piccoli: prima di giungere al suo mirabolante finale in cui un Babbo Natale zombie (e donna!) insegue trascinando un’ascia pericolosamente sfrigolante un gruppo di cinque bambini in un Luna Park abbandonato la notte di Natale, Paco Plaza nel suo Cuento de Navidad (che dimostra come l’anima in fin dei conti ’giocosa’ dell’esperimento REC sia addebitabile al regista di Second Name più che al suo compare Balaguerò, spesso seriosissimamente ’greve’...) infila la stessa donna, una rapinatrice in fuga in costume rosso da Santa Claus, in una profondissima buca nel bosco, ferita gravemente in testa e con una gamba fuori uso, in balia di quei cinque perfidissimi piccoli mostri che la seviziano e la torturano per farsi dare il bottino, sino a farla morire di stenti, sotto il loro sguardo perverso dai bordi della buca, dove continuano a chiamarsi l’un l’altro coi nomi dei personaggi dell’A-Team.

Il piccolo schermo genera mostri: attraverso lo schermetto del suo baby monitor, sorta di circuito chiuso attraverso il quale può controllare se il piccolo figlio sta dormendo beato nella sua culla, il protagonista de La habitacion del nino di Alex De La Iglesia riesce a vedere una versione parallela della realtà in cui viene perpetuato ogni giorno ciclicamente un delitto che coinvolge l’intera sua famiglia. E perlustra tutta la sua abitazione con il dispositivo in mano, attraverso il quale guarda delle immagini che non combaciano con quello che vede a occhi nudi.
Si tratta dell’episodio dalle maggiori fascinazioni teoriche (la cosa migliore girata da De La Iglesia ad oggi?), anche se il regista di Accion Mutante, La Comunidad, Crimen Perfecto e Oxford Murders non rinuncia, nonostante l’apparenza, alle virate grottesche di acida critica sociale: ma il bellissimo incipit con i due bambini che giocano a nascondino sino a quando si fa notte, racchiude da solo il senso di tutte e sei le peliculas para no dormir – giocando a nascondino con lo spettatore, e nello stesso tempo anche con l’atomo radioattivo, il gatto nella gabbia può ancora avere un’unica, risicata possibilità di sopravvivere.
Eppure, come minimo, l’idea così verosimile di quella fialetta di cianuro che può rompersi da un momento all’altro, non può che portarlo (portarci...) alla pazzia.


Peliculas Para No Dormir (2006):

Para Entrar A Vivir, di Jaume Balaguerò
La Habitacion Del Nino, di Alex De La Iglesia
Cuento De Navidad, di Paco Plaza
La Culpa, di Narciso Ibanez Serrador
Adivina Quien Soy, di Enrique Urbizu
Regreso A Moira, di Mateo Gil


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