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Televisionarietà – RX America: Taken e il Regno del Teschio di Cristallo

Pubblicato il 4 giugno 2008 da Sergio Sozzo


Televisionarietà – RX America: Taken e il Regno del Teschio di Cristallo

Nel finale dell’immenso L’uomo dagli occhi a raggi X di Roger Corman (uno dei suoi più lucidi capolavori, 1963), Ray Milland si trovava al cospetto del ’segreto dei segreti’, dell’essenza stessa della vita e del mondo che era giunto a penetrare, al di là di tutte le apparenze e i veli della realtà. E dinanzi a questo impagabile segreto - che gli era costato la perdita della ragione, man mano che la vista a raggi X aumentava di potenza - Ray Milland urlava impazzito ’I can still see!’, nonostante gli occhi ridotti a due orbite nere e sanguinanti.
Allo stesso modo, nell’ultimo Indiana Jones, proprio nell’istante in cui l’essere superiore infradimensionale e divino infonde a Cate Blanchett ’la Conoscenza’ fissandola nelle pupille e le sue orbite prendono irrimediabilmente fuoco, trasformando gli occhi in due fiamme che ardono, questa spietata gerarca sovietica esclama ’io vedo!’.
Qui, e nella sequenza successiva del decollo dell’astronave aliena, si esplicita in una maniera mai prima d’ora così pura, essenziale e cristallina l’essenza del cinema di Steven Spielberg come cinema di Testimonianza.
Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo esemplifica così, con una semplicità sorprendente (il più bel film di Spielberg degli ultimi 10-20 anni?), il nucleo di partenza, l’atomo primo del cinema dei suoi autori, Steven ma anche quel George Lucas a cui si deve probabilmente la lineare progressione di un racconto che si vuole sempre ’elementare’ nell’accezione più gioiosa del termine. Alla stregua del Teschio di Cristallo, vero dispositivo di Cinema, che a fissarlo troppo attentamente rende pazzi e fa il vuoto intorno tenendo lontane le pericolosissime formiche giganti, e che Spielberg pone di fronte ad Indiana Jones costretto a guardarci dentro, come se mettesse il proprio cinema allo specchio.

Allora, nella sequenza a cui accennavamo prima, mentre la gigantesca navicella spaziale si stacca dal tetto del tempio maya e decolla verso lo spazio, Indiana Jones resta in un angolo dell’inquadratura, a contemplare la scena: Indiana Jones è il Testimone.
Vi è una sequenza quasi gemella, che segue di poco la fuoriuscita dell’avventuriero dalle casse di un magazzino (quello degli Studios?) all’inizio del film: e vede, con prospettiva simmetricamente invertita (inquadratura dal basso invece che dall’alto, Indy sulla destra e in primo piano, piuttosto che a sinistra e in un angolo), il Dottor Jones assistere suo malgrado ad un esperimento di esplosione atomica.
Al cospetto del fungo nucleare, la presenza di Indiana Jones diventa la rappresentazione più esplicita che i personaggi del Cinema di Spielberg sono sempre lì per vedere e testimoniare (l’Olocausto, l’Apocalisse, la Preistoria, ma anche l’Amore e la Morte...).
E il messaggio più commovente dell’intera ufologia spielberghiana è che anche gli esseri di un altro Pianeta sono alla fine testimoni della Storia della nostra Umanità, come se questo Indiana Jones alla fine fosse piuttosto un sequel di Incontri Ravvicinati: gli esseri alieni del Regno del Teschio di Cristallo sono infatti qui da millenni, ad attenderci al centro di El Dorado.

Spielberg non lo ha mai spiegato meglio che in Taken, la miniserie del 2002 (vista in Italia senza troppo successo nel 2004 su Italia1) , scritta da Leslie Bohem (sceneggiatore ’catastrofico’: Dante’s Peak, Daylight...) prodotta e ’presentata’ dal papà di ET, e che era una sorta di Storia d’America vista dallo Spazio (una concezione dunque molto più vicina ai mistici alieni sapienti di AI): dal ritrovamento di Roswell – citato anche in Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo con tanto di iscrizione sulla cassa che i russi cercano nell’Area 51 – sino al pre-11/9 (quasi invocato dall’ultimo episodio tutto barricato dentro un grattacielo in mano ai terroristi...), in 10 puntate assistevamo alle vicende di quattro generazioni d’americani legate a tre famiglie differenti, attraverso cinque decadi di Storia USA, dal primo LP di Bob Dylan in mano ai ragazzini nel primo episodio, sino all’esplosione del grunge a Seattle da cui riparte la storia nell’ultima tornata. Filo conduttore, le continue visite che esseri di altri Pianeti continuano a tenere sul suolo statunitense, sin da quel 1947 dello schianto di Roswell che è comune punto di partenza sia della serie che dell’ultima avventura dell’archeologo con la frusta.

Ecco che all’appassionato televisivo la prima, sublime parte di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, con quella magnifica ambientazione da albori degli anni ’50, esaltata dalla fotografia dorata di Kaminski, non può che far tornare alla mente l’atmosfera che si respira nel bellissimo episodio-pilota di Taken, diretto con crepuscolare eleganza dal formidabile Tobe - Leatherface- Hooper. E ancora, la capacità del Teschio di Cristallo di generare visioni, allucinazioni, chiaroveggenze, è in tutto e per tutto simile ai poteri extraterresti posseduti dalla bambina protagonista e voce-off, Allison Clarke (la nuova piccola spielberghiana Dakota Fanning), che in un’ottima puntata dalle eco stalkeriane, Dropping the Dishes (in Italia Tutto precipita), convince le menti e gli occhi dell’intero personale della base militare in cui è prigioniera a credere che la navicella spaziale nascosta tra gli hangar sia popolata dai parenti e dalle persone amate morte e tornate (gli alieni travestiti da cari defunti, come nel fondante racconto-capolavoro di Ray Bradbury La terza spedizione).
In realtà si tratta unicamente di una gigantesca allucinazione collettiva causata dalla piccola Allie, da squarciare con occhi a raggi X sino a giungere al vero cuore del reale, nascosto, da testimoniare una volta raggiunto, e da tramandare. L’America a raggi X.

La recensione di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo

La recensione di Taken alla sua uscita nel 2004


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