Televisionarietà - The Tudors

Ricostruzione storica ed estremizzazione degli eventi, epopea familiare e feuilleton d’aristocrazia mondana.
Si mischiano creando una forma ibrida numerosi elementi di fiction e altrettante componenti fedeli alla realtà nella serie tv che, secondo la critica statunitense, ha scandalizzato l’America.
I Tudors hanno fatto il loro regale ingresso in prima serata sul piccolo schermo italiano portando sulle spalle il giudizio proveniente da oltreoceano: il nuovo prodotto della Showtime, ideato da Michael Hirst, è trasgressivo e spregiudicato, non adatto ad occhi innocenti, cruento e lussurioso.
Attorno al re d’Inghilterra Enrico VIII, interpretato da un fin troppo bello Jonathan Rhys Meyers, si narrano le vicende della corte britannica nel sedicesimo secolo, tra storiche alleanze e subdoli intrighi, travolgenti amori e reiterati tradimenti. Una fiction che affascina il pubblico, ma che contiene in sé numerose contraddizioni.
Il monarca capriccioso che muove le sorti di un popolo povero e confuso, sconvolto nella propria fede dallo scisma luterano, osannante alle esecuzioni capitali, innamorato della propria regina Caterina di Spagna, si lascia trasportare in ogni decisione dal suo impulsivo carattere, e con la stessa impetuosità detta i ritmi di una serie completamente incentrata sulla sua figura reale.
Lo studio preparatorio per un prodotto dalle ambizioni molto alte è di certo lungo e dettagliato. Sono infatti imponenti le ricostruzioni sceniche dei luoghi, delle abitudini mondane, gli stuoli di servitori, i costumi, tutto verosimile o documentato. Ma allo stesso tempo tutto ostentato, eccessivo, quasi faticoso per chi guarda, un mostrarsi continuo di una pomposità ridondante. Nessuna vestizione del Re Sole di rosselliniana memoria, solo un susseguirsi di abiti, gioielli, drappi, armature: molto più un moderno defilé d’alta moda. “Vostra Grazia” e “Vostra Maestà” risuonano ad ogni dialogo su labbra di attori troppo perfetti per essere credibili nei loro ruoli. La bellezza estetica è un elemento imprescindibile, a quanto pare, per il piccolo schermo, ma in questo caso si rivela essere un limite, un danno alla serie stessa, che perde quella credibilità storica che con bravura scrittori, scenografi e costumisti le avevano fatto acquisire. Mai possibile che fossero tutti dei modelli i notabili dell’epoca?
Non c’è però solo da criticare. Il senso di insicurezza, di continuo cospirare, la tensione tra i rappresentanti dello Stato e quelli della Chiesa, sono tutti elementi che rispecchiano di certo la realtà dei fatti e su cui gli sceneggiatori giocano in maniera molto abile in modo da creare le linee narrative laterali su cui inserire il vero punto focale della serie: l’amore tra Enrico VIII e Anna Bolena. L’altra donna del re, per parafrasare un recente film, calamita l’attenzione del sovrano ma soprattutto quella del pubblico. Quando entra in scena Anna, il re diventa un personaggio quasi secondario. Primi piani e dettagli si concentrano sul volto ambiguo di Natalie Dormer che con i suoi mezzi sorrisi, il viso ammaliante e la sua carica erotica fa decisamente acquistare sensualità al gran carrozzone circense che è la corte di Londra, così come mostrato. Dietro un grande uomo in questo caso c’è una donna manipolatrice che, rimasta in disparte per un buon numero di puntate della prima serie (quella in onda e la migliore delle due finora prodotte), nella seconda, in tv negli USA fino a pochi mesi fa, prende il centro del palcoscenico e non lo molla fino alla fine, in un alternarsi di scene madri melodrammatiche che purtroppo non convincono fino in fondo. Si spinge infatti troppo sul pedale del sesso libertino e dell’amore tormentato tra i due protagonisti negli episodi della seconda stagione, mettendo in secondo piano il più importante evento del regno di Enrico, lo scisma anglicano e il riposizionamento dell’Inghilterra nello scacchiere politico-religioso dell’Europa che ne è stato conseguente. Dopo l’uscita di scena del Cardinale Wosley, interpretato da Sam Neill (lo ricordate protagonista in Jurassic Park?), il manipolatore “politico” del re, le sottotrame che arricchivano d’interesse la storia dei due amanti reali, perdono di spessore e fanno traballare una struttura che in partenza era molto solida e che si era rivelata anche molto interessante. Non una bocciatura completa, ma di certo un po’ di delusione per le aspettative create dalle prime dieci puntate. Nelle seconde dieci, Enrico e Anna finiscono purtroppo per assomigliare ai contemporanei Carlo e Camilla, rendendo stucchevole il loro confrontarsi e suscitando più noia altro. La prossima volta sarà meglio ricordarsi che il pubblico di una serie televisiva non è lo stesso di un notiziario rosa.
