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Televisionarietà – Ultima frontiera. Il gioco della morte

Pubblicato il 10 luglio 2010 da Marco Di Cesare


Televisionarietà – Ultima frontiera. Il gioco della morte

È indubbio come un individuo non possa considerarsi solamente in quanto singolo, poiché su di lui comunque si posano i segni e i significati di quello che lo circonda: famiglia, partner, ambiente naturale e sociale, con tutte le convenzioni e le convinzioni che essi si trascinano, assieme al peso di un passato e di una cultura collettiva che si perde nella notte dei tempi, tanto da divenire - ipso facto - un qualcosa di naturale. Un sistema questo di coercizione, col quale si deve fare i conti, volenti o nolenti e il più delle volte rimanendone inconsapevoli. Poiché a noi tutti fa comodo ritenerci come persone e non come gli appartenenti a una massa più o meno vasta, più o meno indistinta. Perché comunque ciò prospetterebbe di fronte ai nostri sguardi più che altro la possibilità e l’idea di un prevalere della parte animalesca, dove regnano la sottomissione, il dominio e l’organizzazione sociale fortemente gerarchica, come accade in un qualsiasi branco.
Uno scalpore, lo scandalo di chi mostra ciò che si sa potrebbe essere la realtà, mettendola in scena attraverso la restituzione di ogni sua nudità: questo è il film documentario Ultima frontiera – Il gioco della morte, un prodotto francese che nel marzo scorso venne messo in onda da France 2 in prima serata e che è stato presentato alla stampa giovedì 8 luglio, durante il RomaFictionFest2010, risultando una delle opere più interessanti di un festival dal profilo non molto elevato. Per il mercato italiano è stato comprato da La7, che lo ha trasmesso alle 21.10 della medesima serata, dopo una puntata speciale di In Onda condotta da Luisella Costamagna e da Luca Telese (che ha presieduto alla conferenza stampa durante il Festival); loro ospiti sono stati, oltre al regista Christophe Nick, Carlo Freccero e Vladimir Luxuria. In precedenza il documentario era stato cercato da Sky e da Rai3, ma non dai due colossi del nostro monopolio televisivo (considerando quasi innocue le minime differenze tra i due schieramenti): ossia, ovviamente, i primi due canali della Rai e Mediaset. Ma cosa ha tenuto lontano da un così bel pasto le bocche sempre affamate dei due giganti italiani, che sembrerebbero essersi comportati assai diversamente da molti broadcaster sparsi sulla scena internazionale?
Il titolo originale è La Zone Xtrême – Jeu de la mort. ‘La zona estrema’ è un fantomatico game show di France 2, dove i concorrenti vengono chiamati a infliggere scosse, dal voltaggio sempre più elevato, rivolte contro un uomo legato a una poltrona e nascosto alla vista di tutti, ogniqualvolta questi sbaglia la risposta a una domanda a soluzione multipla. In palio un milione d’euro (centomila per il torturatore, il resto per l’oggetto del supplizio), ma solo qualora si riuscisse a toccare la meta finale: ossia la scarica ultima, quella da 460 volts.
È la messa in scena di una finzione, come tante altre che passano sulle televisioni di almeno la metà del globo. È un esperimento messo in atto sulla falsariga di quello dello psicologo americano Stanley Milgram, risalente agli anni Sessanta, che voleva mostrare come l’autorità (in quel caso quella di uno scienziato) potesse convincere persone normali a compiere atti disdicevoli contro un proprio simile, tra l’altro del tutto innocente: allora il 40% delle cavie, ossia dei torturatori, preferì fermarsi prima di giungere alla fine. Il test venne aggiornato negli anni Ottanta, utilizzando come espediente quello di un attore che recitava nella parte di un direttore delle risorse umane, esaminando persone convocate per un lavoro: l’obbedienza raggiunse una percentuale pari al 90%. Oggi, con Il gioco della morte, quella percentuale si è fermata ‘solamente’ all’80%.
Oramai per taluni sembra che il potere di coercizione sulle vite di molte persone si trovi nelle mani della televisione: un luogo che evoca una distanza nascosta all’interno di una prossimità, un oggetto comune a tutti e che si trova nelle case di chiunque, che evoca palcoscenici sui quali sfilano celebrità e grazie ai quali anche un Signor Nessuno può divenire qualcuno. Soprattutto tutti sanno come ci si debba comportare su quel palco: essere ubbidienti di fronte alla regola del gioco, rispettare il potere, pur pensando di stare invece compiendo una scelta in totale indipendenza e autonomia, talmente lieve è la mano che tutto e tutti manovra.
Dall’altra parte vi è un Caso che diviene solo una mera apparenza, poiché è l’intervento della regia nascosta de Il gioco della morte a decidere quali sono le risposte sbagliate e quali quelle giuste: tutto diviene perciò precario. Come le vite di molti, nonostante il guscio sociale che questi indossano affinché possano sentirsi protetti e soffocati. Pur pensando di nuotare nella libertà. Mentre, al contrario, sono solamente cavie di un esperimento, analizzate da un gruppo di intellettuali che vogliono trovare delle persone che sappiano ribellarsi e provare una vera compassione verso i propri simili, nonostante il teatro delle crudeltà che è stato imbastito attorno alle loro coscienze. Uno spettacolo osservato da chi siede al di qua del focolare domestico che sa insinuare il dubbio più lancinante: ma come ci comporteremmo noi nella stessa situazione?


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