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Természetes fény – Natural Light

Pubblicato il 6 marzo 2021 da Gherardo Ugolini


Természetes fény – Natural Light

Un gran bel debutto quello del regista ungherese Dénes Nagy, formatosi all’Università di Teatro e Arti Cinematografiche di Budapest nel 2009 e già ospite del festival berlinese anni fa, ma solo nell’ambito del programma “Berlinale Talents”. Dopo avere realizzato il cortometraggio Soft Rain (presentato a Cannes 2013), e il documentario Another Hungary (presentato al Festival di Rotterdam nel 2014), col suo primo lungometraggio di fiction, intitolato Natural Light , Nagy incassa dalla giuria della Berlinale un premio di grande livello e senz’altro inatteso: l’Orso d’argento per la miglior regia.

Già la scelta dell’argomento è meritevole di segnalazione in quanto affronta una pagina della storia ungherese poco conosciuta, ovvero la partecipazione delle truppe ungheresi (con almeno 100mila effettivi) alla spedizione tedesca per occupare i territori dell’Unione Sovietica. Siamo nel 1943, sta per iniziare un inverno gelido e lungo, quando il sottotenente István Semetka (Ferenc Szabó) combatte in un’unità speciale ungherese incaricata di viaggiare di villaggio in villaggio alla ricerca di gruppi di partigiani da rastrellare. Un giorno, mentre si dirige verso un villaggio remoto, la compagnia cade sotto il fuoco nemico e il loro comandante viene ucciso. Come ufficiale più alto in grado, Semetka deve prendere il suo posto; attraversando una vasta palude, guida i sopravvissuti verso un villaggio occupato dove si riuniscono con la loro divisione. Solo in apparenza l’opera prima di Dénes Nagy può essere classificato sotto l’etichetta di tipico “film di guerra”. In realtà è molto di più, o meglio di diverso. Intanto mancano gli ingredienti spettacolari del genere, ovvero le battaglie, i carri armati, le fucilazioni, le torture etc. E poi la prospettiva s’indirizza verso la dimensione esistenziale. Grazie a un accorta sceneggiatura e a un’attenzione speciale per la fotografia, il regista crea un’atmosfera rarefatta e crepuscolare che fa da contorno all’intera vicenda, e che fa emergere il cammino del protagonista e degli altri personaggi come fosse una discesa verso l’ignoto, nella quale si è chiamati costantemente ad affrontare dilemmi morali. Cosa si deve fare per sopravvivere in situazioni estreme? Fino a che punto è necessario e giusto mettere sé stessi e la propria vita davanti a tutto? Quanto si è colpevoli, se si è testimoni di eventi orribili di cui non si è stati gli artefici? Nello scenario di guerra feroce in cui si procede a rappresaglie violenza e domina il principio del mors tua, vita mea, tutte le convinzioni su ciò che è giusto e sbagliato vacillano e ciascuno deve decidere in assoluta solitudine se adattarsi alla situazione oppure fare la cosa moralmente giusta.

Se la trama è di per sé piuttosto esile, il pregio della pellicola risiede soprattutto nello stile asciutto e lento con cui ci vengono raccontate le azioni della routine bellica: l’attraversamento del fiume paludoso, la necessità di assicurare ai combattenti il rancio quotidiano, il sequestro delle cibarie, l’incalzare degli ordini, la frenesia delle persone che non hanno alcuna identità se non quella che conferisce loro l’uniforme che indossano. Lo scopo non è di evocare i misfatti che hanno scandito l’occupazione nazista dei territori russi, bensì quello di indagare nell’anima dei personaggi, a partire da quella taciturna e inquieta del povero Semetka, spettatore disincantato della tragedia che si va compiendo di fronte a lui. E se per tutto il film predominano ombra e oscurità, ecco che alla fine, quando Semetka dopo mesi di combattimenti ottiene una breve licenza per tornare a casa, dal finestrino del treno scorge un tremulo bagliore che si fa spazio tra le nuvole.

Ispirato a un romanzo dello scrittore Pál Závada (ma con sostanziali mutamenti di cronologia e ambientazione), il film è stato girato in Lettonia con attori non professionisti. Si tratta certamente di una notevole e promettente prova d’autore, nella quale il regista dimostra piena padronanza del linguaggio cinematografico, soprattutto per quanto concerne la dimensione cromatica, e uno stile narrativo-evocativo che ricorda da vicino quello del suo connazionale László Nemes in Il figlio di Saul, vincitore del premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 2015.


CAST & CREDITS

Természetes fény / Natural Light - Regia: Dénes Nagy; sceneggiatura: Dénes Nagy; fotografia: Tamás Dobos; musica: Santa Ratniece; interpreti: Ferenc Szabó, Tamás Garbacz, László Bajkó, Gyula Franczia, Ernő Stuhl, Gyula Szilágyi, Mareks Lapeskis, Krisztián Kozó, Csaba Nánási, Zsolt Fodor; produzione: Campfilm (Budapest); origine: Ungheria; durata: 103’.


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