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The OA (Stagione 1) - Teste di Serie

Pubblicato il 17 gennaio 2017 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


The OA (Stagione 1) - Teste di Serie

"Siamo tutti morti, innumerevoli volte."
- Prairie

Rilasciata un pò in sordina on demand su Netflix, The OA è la serie già diventata culto, che più ha spinto a discuterne e ipotizzare teorie, in un marasma di elogi sontuosi e stroncature senza mezze misure. Il motivo? Sta tutto nella messa in scena, è ovvio, e nella ricerca (da parte dello spettatore) di chiarezza, quella terra sotto i piedi che, quando si sgretola, genera confusione e sensazioni contrastanti. Quindi non ci resta che provare a chiarire la questione The OA, ma non una volta per tutte.

Prairie Johnson (Brit Marling, nella duplice veste di attrice protagonista-sceneggiatrice) è una ragazza cieca che, dopo essere scomparsa da casa per anni, ritorna senza alcun preavviso, in evidente stato confusionale. Nessuno, compresi i genitori Abel e Nancy (Scott Wilson e Alice Krige), riescono a giustificare quanto accaduto, in bilico tra gioia e incredulità, uno stupore amplificato dall’inspiegabile capacità di Prairie di poter vedere di nuovo. Ben presto, la ragazza dimostra di essere perfettamente in grado di ricordare e poter raccontare quanto accadutole, ma quelle che ai genitori paiono elucubrazioni senza senso, non lo saranno per quattro ragazzi e un’insegnante della scuola locale: ammaliati dall’aura di misticismo che accompagna Prairie, l’irrequieto Steve (Patrick Gibson), il diligente Alfonso (Brandon Perea), il giovane transessuale Buck (Ian Alexander), l’orfano Jesse (Brendan Meyer) e la signorina Broderick-Allen (Phyllis Smith), insegnante presso la scuola locale, vengono invitati dalla ragazza a partecipare indisturbati a un incontro all’interno di una casa abbandonata, durante il quale Prairie inizia il racconto della sua vita.
Così, i cinque ospiti scoprono che la ragazza nacque in Russia, figlia di un uomo d’affari in combutta con la mafia, per poi perdere la vita a seguito di un attentato allo scuolabus sul quale viaggiava con altri compagni, per poi essere riportata in vita, ma privata della vista, da un’entità inconoscibile. Dopo qualche tempo trascorso nell’orfanotrofio gestito dalla zia, per ordine del padre intimorito da ulteriori ritorsioni della mala, la piccola Prairie viene adottata dai coniugi Johnson, i suoi nuovi genitori.
Ormai adulta, Prairie decide di allontanarsi di casa, con la speranza di poter ritrovare nuovamente suo padre, ma viene raggirata e presa in ostaggio da un uomo che la sente suonare il violino e ne resta ammaliato: si tratta di Hunter Aloysius Percy (Jason Isaacs, dallo sguardo glaciale e voce conturbante), uno scienziato che sta conducendo crudeli esperimenti su soggetti che, dopo aver partecipato a esperienze dette di “pre-morte”, riescono a sviluppare innate doti prima sopite; per questo sospetta che anche Prairie sia una di loro e la rapisce per farne una cavia.
Passano sette anni durante i quali Prairie, assieme ad altri ragazzi, viene più volte uccisa dal dottor “Hap” per poi essere riportata in vita, con l’intento di provare inconfutabilmente l’esistenza di altri piani dimensionali oltre a quello terreno. Ma Prairie riuscirà, alla fine, a fuggire e tornare a casa, acquisendo, grazie alle innumerevoli esperienze pre-morte congiunte con quelle degli altri, i movimenti per curare ogni male, riportare in vita i morti e aprire un varco dimensionale per poter salvare gli altri angeli (The OA sta per “Original Angel”, in riferimento a Prairie stessa, tradotto e modificato in italiano in PA, “Primo Angelo”), in special modo Homer (Emory Cohen), al quale è molto affezionata. Ma per riuscire in tale impresa, Prairie ha bisogno dell’aiuto di altre cinque persone: le stesse che ha trovato al suo ritorno e che ha convinto a credere nella sua storia. Anche se alcuni indizi sembrano portare i cinque amici verso una conclusione inaspettata e contraria ai racconti della ragazza...

Prendendo come punto di riferimento la trama (che necessita di essere svelata quasi per intero, per poter dar vita a una disamina appropriata), è facile intuire come The OA sia una serie televisiva che riesce con estrema facilità a valicare più confini di genere, in un estremo (sperimentale?) tentativo di indurre lo spettatore in uno stato perenne di stupore: la serie ideata da Brit Marling e Zal Batmanglij nasce come un classico prodotto di stampo mistery, in un curioso ribaltamento degli eventi (di solito c’è un primo protagonista che scompare, anzichè tornare), nel quale si denotano con facilità elementi cari al genere crime, una volta che veniamo a conoscenza del passato burrascoso di Prairie, senza dimenticare le disavventure vissute in giovanissima età (c’è di mezzo la mafia russa); finchè si palesano splendenti di luce oscura quei risvolti fiabeschi (l’incontro con la misteriosa entità che priva la piccola Prairie della vista) che stabiliscono con perentoriertà il percorso che la serie sarà destinata a seguire. Ma la conta non si esaurisce qui, perchè The OA è, soprattutto, una serie fantascientifica, e ce lo dimostrano gli esperimenti di Hap sulle cavie avvezze alla pre-morte, nonchè perfino avventuroso, poichè i viaggi interdimensionali intrapresi da Prairie e Homer sono indirizzati verso la ricerca di un qualcosa; in ultimo, ma non per importanza, The OA conserva tutti i caratteri del dramma-famigliare o giù di lì, che tocca in prima persona tutti i protagonisti e comprimari della storia, ognuno con i suoi demoni da sconfiggere (Steve ha problemi caratteriali che lo spingono in guai seri, Alfonso vorrebbe per se un gran futuro, ma deve tenere a freno le dipendenze della madre, Jesse è un orfano e fuma abitualmente erba) o muri da sgretolare (Buck Vu è un transgender e viene spesso visto con pregiudizio dagli altri studenti).

Questa variegata commistione di generi non sarebbe, in teoria, un difetto, ma lo diventa per The OA non tanto per l’impossibilità di catalogarla in questo o in quell’ambito (procedimento che lascia il tempo che trova), ma nella reiterata forzatura di un continuo processo di formazione sperimentale, con l’intento di trasformare, a lungo andare, la serie in un oggetto di culto inafferabile come una pozza d’acqua e stimolante per i sensi come la brezza al mattino o un vento di scirocco al crepuscolo. In pratica, The OA perde questo equilibrio contenutistico quando prova a instillare nello spettatore il dubbio sulla sua stessa veridicità, trasformandosi in una creatura grottesca e quasi caricaturale: ci si riferisce al ritrovamento da parte di Alfonso di alcuni manuali sull’esoterismo, le esperienze pre-morte e saggi sull’evoluzione politico-sociale della Russia moderna, lasciati dagli sceneggiatori sotto il letto per incrinare quel patto con lo spettatore già rafforzato dal lungo racconto di Prairie sul suo passato, da ben sei episodi su otto totali incentrati sulla ricostruzione degli eventi inerenti al rapimento perpetrato da Hap e sull’acquisizione dei movimenti (dagli inebrianti caratteri ancestrali ed empatici, insomma una vera goduria!), nonchè dai numerosi tentativi andati a male della giovane di spiegare ai genitori adottivi quanto accadutole. Un passato, un vuoto colmato con sentimento e verità, che trova un riuscito epilogo nel climax finale, così coinvolgente da essere percepito in maniera liberatoria.

Un tentativo scellerato di forzare la mano più del dovuto, che finisce non solo col mettere in discussione quanto mostrato con profusione di dettagli in sei raggelanti episodi, ma distorce la sceneggiatura in una serie di insanabili contrasti temporali. L’indecisione, il mistero, sono presenti nel finale senza quest’iniziezione di inverosimile incertezza: Prairie ha raggiunto Homer e gli altri, oppure semplicemente, si è risvegliata in una stanza d’ospedale e dovrà “ricominciare tutto daccapo”?

Nel complesso, The OA è una serie che merita di essere vista e assimilata per quell’effetto taumaturgico e rasserenante che solo poche altre serie tv sanno infondere. Placa gli animi e lascia che questi si infervorino, in un turbinio di emozioni contrastanti, quelle che il cinema, fatto di corpi che danzano, sospiri e magia primordiale sa evocare.
Il dubbio non doveva attecchire a questo viaggio. Per più di un attimo Brit Marling e Zal Batmanglij sono riusciti a destare lo spettatore dal sogno. E questo è un errore (forse) imperdonabile.


(The OA); genere: mistery, fantascienza, drammatico; sceneggiatura: Brit Marling, Zal Batmangglij; stagioni: 1 (in forse); episodi prima stagione: 8; interpreti: Brit Marling, Emory Cohen, Scott Wilson, Phyllis Smith, Alice Krige, Patrick Gibson, Brendan Meyer, Brandon Perea, Ian Alexander, Jason Isaacs; produzione: Plan B Entertainment, Anonymous Content; network: Netflix (U.S.A., 16 dicembre 2016), Netflix (Italia, 16 dicembre 2016); origine: U.S.A., 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x01 – Homecoming (1x01 - Il ritorno)


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