Tornatore in cattedra a Salerno
“Far innamorare il pubblico delle storie che racconto”, è questa la firma che Giuseppe Tornatore ha lasciato in calce al terzo appuntamento di Filmidea, ciclo di incontri didattici sul cinema arrivato alla settima edizione. Per la seconda volta nella storia della rassegna, il regista ha salutato l’Università di Salerno trascorrendo presso l’ateneo l’intera giornata del 16 novembre. Oltre che per il consueto incontro con gli studenti nell’aula delle lauree, questa volta gli organizzatori hanno approfittato della presenza di Tornatore per inaugurare il nuovo Laboratorio di storia e media audiovisivi del Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali. Poi di corsa fra i ragazzi per rispondere ai loro quesiti, accolto da una sala completamente piena. La curiosità suscitata dalla presenza del cineasta è stata testimoniata dal fatto che molti dei presenti, non trovando poltrone libere, hanno preso posto in terra fin sotto le cattedre dei conferenzieri.
Una breve presentazione dei relatori ha preceduto la pioggia di domande più o meno articolate indirizzate al regista. La sua vita professionale, le fonti o metodi di ispirazione, il ruolo che assegna alla musica nei film, alcuni aneddoti intorno ai suoi esordi cinematografici sono stati i temi più battuti. Ha colpito in maniera particolare il ricordo di Renato Guttuso, che Tornatore ha definito “uno dei maggiori artisti del Novecento”. Prima de Il camorrista, il regista ebbe modo di percorrere la Sicilia assieme al pittore dovendo lavorare ad un documentario per la terza rete che descriveva la carriera artistica di Guttuso attraverso alcuni luoghi dell’isola. Fu in quell’occasione che Guttuso, vedendo l’imbarazzo di Tornatore nel dover fare anche il portata cavalletto della macchina da presa (mansione di competenza di uno specifico attrezzista nda), insegnò al giovane regista la sua massima sull’umiltà “Come pittore posso fare delle opere d’arte, ma se dipingo una porta la faccio perfetta”. “Un regista”, ha aggiunto Tornatore, “deve saper fare tutto in un film”. In serata Tornatore ha assistito a Salerno alla proiezione del suo Baaria presentandolo al Rettore, ad alcuni docenti e ad una selezione di studenti prenotatisi nei giorni precedenti l’incontro. La visione del film è stata un’ulteriore occasione per i presenti di approfondire il legame creativo che lega l’autore alla sua opera.
L’INCONTRO
Per chi è appassionato di cinema prima ancora d’essere uno studioso, l’incontro con i protagonisti dello schermo è sempre un’occasione speciale, densa di fascino e aspettative. Una semplice data sul calendario, una locandina, un avviso nelle bacheche dell’università possono trasformarsi in un momento attorno al quale organizzare la giornata. Per Tornatore, gli universitari di Salerno hanno deciso di saltare qualche lezione o restare in piedi diverse ore pur di poter sentire le sue parole, strappare un autografo, una foto, una stretta di mano.
Per molti, film come Nuovo cinema paradiso, L’uomo delle stelle o Una pura formalità rappresentano i primi passi verso il “cinema importante” e spesso la memoria indelebile della prima luce che illuminato il buio della sala. Il silenzio è stata la manifestazione sensibile di questo stupore che ha fatto da contorno alle parole di Tornatore rivolte agli studenti. Diversi gli aspetti della sua carriera su cui si è soffermata la curiosità dei presenti, soprattutto quella dei docenti di Filmidea. Molte domande hanno fatto emergere quella vena malinconica a cui l’autore siciliano ha fatto spesso ricorso, tracciando i contorni di una poetica filmica basata sulla nostalgia. Tornatore ha ripercorso un viaggio nella sua memoria di artista, verso le proprie radici, quindi il rapporto con la Sicilia, con la grande Storia e con le piccole, intime vicende umane, un movimento di dolly che continuamente si allarga sulla folla o restringe su un volto segnato dal tempo.
Ma in riferimento al presente che lo vede candidato al premio Oscar, Tornatore guarda alla notte delle statuette senza ansia da prestazione. Pur se intorno alla candidatura c’è molta aspettativa, avendo già stretto l’omino d’orato per Nuovo cinema paradiso ed averlo sfiorato con La sconosciuta, in conferenza stampa il regista ha candidamente ammesso che “l’ansia, forse, la vivono gli altri. E’ come se uno dovesse rientrare in una coazione a ripetere per cui se vince una volta DEVE vincere sempre... Sono ovviamente contento che il film sia stato selezionato ma” ha poi concluso “sono sereno e serenamente proseguo la promozione del film…”.
Sia in conferenza stampa che durante l’incontro con gli studenti, Tornatore è stato incalzato sul classico dilemma film commerciale Vs film d’autore. “Il cinema” ha detto “nasce da sempre per essere commercializzato e la tentazione di fare un film solo per gli incassi è stata sempre forte. Esistono due chiavi: una che vuole il cinema per il commercio, una un po’ meno, e servono tutte e due. Non ho mai condiviso l’idea del cinema totalmente commerciale” ha poi precisato “così come non è detto che se un film muoia nell’indifferenza sia perché è un capolavoro incompreso… L’atteggiamento è uno solo: saper raccontare al meglio le storie […] Ricevere gli applausi in Sicilia fa piacere, ma se lo stesso film è applaudito anche ad Oslo, a Tokio o a Toronto senti che i temi che hai raccontato riescono ad arrivare anche a toccare la sensibilità di chi non ti è vicino. E’ proprio questo il lavoro di chi fa cinema”.
Sul versante politico, in riferimento ad alcune dichiarazioni polemiche di Placido sul rapporto fra il credo ideologico e la coerenza nello scegliere i produttori, l’autore ha fatto sfoggio di un pragmatismo che reputa necessario visto l’attuale andazzo della politica italiana. “Se dovessi fare film con chi condivide le mie idee politiche”, ha risposto ai giornalisti quasi scherzando, “essendo io vicino alla sinistra dovrei prima trovare chi la pensa esattamente come me… Io sono di pensiero socialista e se avessi dovuto lavorare con produttori che la pensavano come me avrei potuto fare solo Nuovo Cinema…” ha sottolineato con puntigliosità. “Non mi interessa il partito del mio produttore, perché quando faccio il mio film, il mio partito diventa il film… Il produttore”, ha poi proseguito “è quello con cui lavoro 24 ore ai problemi del film, non è il fatto che Medusa sia riconducibile al primo ministro […] Poi scegliere fra Rai e Medusa, oggi, non è una vera scelta” ha ironicamente ammesso.
Sull’accoglienza delle sale, Tornatore si è aperto in un ampio sorriso con il quale ha annunciato il successo insperato che Baaria sta incontrando. “All’inizio”, ha confessato, “si pensava che Baaria non fosse un film da multisala perché, secondo i produttori, ‘lì ci vanno i ragazzini…’ Gli incassi delle prime settimane hanno dimostrato”, per il regista, “che questa idea non è del tutto corretta. Non sono solo i ragazzi ad andare nei multisala e, soprattutto, non è vero che i ragazzini non vogliano vedere film come Baaria… Su questi numeri l’industria cinematografica dovrebbe riflettere e rimodulare l’offerta…”. Non è dunque vero, secondo il cineasta siciliano, che i giovani scappino dal cinema di qualità e soprattutto “non è una situazione tanto diversa dagli anni ’60, dove la gente non faceva certo a pugni per vedere i capolavori del Neorealismo…”
Un fattore che ha particolarmente attirato l’interesse dei ragazzi è stato la scelta degli attori, di quelle facce che così fortemente si sono impresse nella memoria degli spettatori. Per Tornatore, “non a caso il casting è determinante per la buona riuscita del film. Tutto più essere zoppicante” ha ribadito “ma se sbagli il casting, il film assolutamente non va”. In risposta ad una spiegazione sulla scelta di Totò Cascio, Tornatore ha spiegato che “è stato importante lo sguardo. Ho visto centinaia di foto di bambini, ma sono stato colpito dallo sguardo di Totò. Gli attori devono avere qualche elemento che si avvicinava all’idea del personaggio che ho, e così è stato per Salvatore…”. Sempre sul versante del casting, sono state chieste spiegazioni sulle scelte inusuali di Baaria. In contraddizione con le leggi spesso imposte dalle case di produzione, nella pellicola si vedono al centro della scena attori esordienti o non professionisti mentre sullo sfondo restano una selva di volti noti racchiusi in tanti piccoli camei. “Le motivazioni” ha argomentato Tornatore “sono state diverse. Prima di tutto Baaria è un film corale che racconta la vita di un paesino dove tutti si conoscono e dove politici, carabinieri, notabili sono volti noti che ognuno riconosce. Utilizzare degli attori famosi per questi ruoli marginali è stato funzionale allo scopo. Poi ci sono stati motivi legati alla tipologia stessa dei personaggi. Servivano infatti degli interpreti giovani che sapessero recitare in dialetto. Infine,” come aveva già anticipato nella conferenza stampa, “c’è da considerare il fatto che il cinema italiano è un piccolo mondo. Appena si è saputo che facevo un film in Sicilia, tutti hanno voluto partecipare, anche con una piccola parte”.
Infine, alcune parole dedicate all’immancabile passaggio sulla musica in relazione con le immagini ed il lavoro con Morricone per il quale Tornatore ha speso poche parole che hanno toccato i punti essenziali del suo metodo. “Le musiche hanno un ruolo importante nei miei film” ha esordito “perché esplicitano i sottotesti e quindi non sono solo un abbellimento. Con Morricone, fin dal nostro primo incontro abbiamo chiarito il metodo di lavoro. Spesso si compone la musica alla fine del film ma questa cosa non mi ha mai convinto. Un film”, ha proseguito, “ha un’evoluzione lunga e tortuosa che parte dall’ideazione fino al montaggio finale. La musica non può essere ‘incollata’ senza che attraversi lo stesso tormentato processo di maturazione che segue il resto del film. Oggi c’è molta facilità nell’usare ‘musiche civetta’ per far capire al produttore l’idea che hai in mente. Ma questa è una cosa sbagliata perché inevitabilmente quelle musiche, provvisorie e addirittura prese da altri lavori, caratterizzano e orientano le scelte finali…”. Il segreto del lavoro di Tornatore è dunque “pensare alla musica già nella prima stesura della sceneggiatura, lavorando sulle bozze dei temi che alla fine verranno sviluppati più compiutamente. E’ un metodo più impegnativo e costoso”, ha ammesso, “ma con Morricone lavoriamo così già dall’inizio.”.
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