Trittico del dilemma [Libro]
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Dolore. Complicità. Speranza. Il Trittico del dilemma, nuova raccolta dello scrittore e drammaturgo Alessandro Izzi, passa tangenzialmente per questi tre assunti, declinando in tre sceneggiature teatrali gli orrori della guerra e la complessa mutazione dell’animo umano di fronte a eventi tragici e al rapporto con un frammento di società sempre “in prima linea”, spesso indecifrabile perfino per i protagonisti stessi.
Rastrellando gli umori di uomini, donne e ragazzi angosciati, soffermandosi con garbo ad assistere e a partecipare attivamente alla messa in scena del dolore partorito dalla guerra e dalla violenza, non tanto in termini fisici, tangibili, ma qui trattati come lacerazioni dell’indole pacifica di individui costretti ad agire perfino contro la propria natura – natura coattivamente piegata alla naturale e brutale prosecuzione della Storia – Izzi tratteggia con lucida sensibilità un mondo oscuro, popolato da anime allo sbaraglio, afflitte dall’incapacità di intravedere luce in un futuro precario, se non con le spalle al muro, ostinati e convinti di dover fronteggiare ansie e paure. I dilemmi, per l’appunto, che li spingono a camminare in bilico tra sogno e realtà, vita o morte. Un sogno che é, invece incubo; una realtà che ha poco da regalare; una vita che a molti non appartiente più e la morte che ruba ogni cosa.
«In guerra si può solo perdere qualcosa...»
(L’Uomo)
Il Trittico del dilemma si apre con Perché la guerra?, un confronto a muso duro tra una madre, sconsolata per il timore dovuto all’assenza dei figli andati a morire in guerra, e un ufficiale rude e spregevole, creatura disillusa e rigurgitato dal mostro del conflitto, portatore solo di pessimi auspici. Liberamente tratto da un carteggio tra Albert Einstein e Sigmund Freud, senza toccare o finire con l’analizzare direttamente lo scambio di prospettive tra i due intellettuali, Izzi estrapola da qui il dramma e l’anima del “suo” primo dilemma, che assume le sembianze di un contraddittorio senza esclusione di colpi tra questa donna colma di pietà e l’ufficiale mefistofelico, che non può in alcun modo risparmiare nemmeno il beneficio del dubbio covato dall’affranta protagonista. In un valzer mortifero, alternato seguendo repentini capovolgimenti di prospettiva, la narrazione di Izzi porta in superficie le nebulose convinzioni di una madre gravemente ferita dal dolore e dal terrore di non poter più riabbracciare i propri figli spediti sul fronte, poste in speculare conflitto con la nera verità che coincide con la necessaria esistenza stessa della guerra quale strumento atavico e, apparentemente necessario e, forse, voluto da coloro che l’accettano, ma temono e poi rimpiangono. É questo primo, un dilemma etico, morale e crudelmente districabile, solo per chi é in grado di accettare e rinnegare la propria natura autodistruttiva. «Perché la guerra?», si chiede Izzi, offrendo al lettore avvinto una risposta che tutti conosciamo già.
«Bisogna essere partigiani per aiutare qualcuno in difficoltà?»
(Lucia)
Una divisa, l’atto centrale, é un colpo al cuore. Il più “umano” tra i tre dilemmi, perché privo della carica simbolica predominante in Perché la guerra? e nello scritto conclusivo. Stavolta Izzi riesce a narrare le vicende di un giovane in fuga, unito ideologicamente a un gruppo di partigiani sopravvissuti e nascostisi tra le ombre notturne di un paesaggio collinare, con un incipit in medias res, così ben congeniato da lasciare percepire contemporaneamente la fatidica calma prima dell’imminente tempesta; tempesta che prenderà l’aspetto di un baldanzoso fascista, personaggio dal pronunciato carattere ambiguo, emblema non solo di uno stato civico e civile contrario ai principi di una società libertaria ma, allo stesso tempo, baluardo e testimone della genuinità dell’animo umano e della fierezza di chi si concede ai sentimenti e al calore dei rapporti famigliari. Così, per l’unica volta, Izzi sveste i suoi personaggi da ogni ombra e li accompagna verso un lieto fine che non contiene alcuna amarezza, attraverso dialoghi dolci di uno spartito umanista, prima che teatrale. E, per questo motivo, Una divisa spicca sui restanti dilemmi, riscalda il cuore e ci accompagna alla fine della notte, verso una candida alba.
«Sono stufo di tutte queste maschere!»
(Salvatore)
A chiudere, Solo le maschere. Stavolta i personaggi lasciano il posto in prima fila alla Storia e la vicenda Moro viene rinchiusa dentro un teatro dismesso, raggiunto da un uomo anziano e malato e dai suoi tre figli. L’uomo é un attore, un burattinaio e vive per i suoi burattini e per il teatro, ma ora si ritrova in questo luogo-non-luogo, mentre le strade sono lastricate di segreti e violenza e non sono più quel tempio sacro in cui alimentare la gioia di bambini curiosi. Questa é l’Italia del terrore, é per Izzi un posto in cui i sogni difficilmente riescono ad attecchire: e sul palcoscenico scricchiolante di un teatro che é mondo a se stante e rifugio apparente dal piombo e dal tempo che sembra essersi fermato in un grigio girone infernale, il dilemma é una questione generazionale, nel passaggio ancora ideologico di consegne di una tradizione – quella del comico, dell’attore, del burattinaio, del padre morente che non può più essere d’aiuto per i figli confusi, quando questo é solo ciò che i figli credono a loro discapito. É furioso e inebriante, Solo le maschere; doloroso e nostalgico. Sicuramente il più articolato e suggestivo tra i tre, il dramma che chiude il Trittico del dilemma non solo si sposa con il carattere funereo e, al contempo, rigeneratore dell’opera, ma deflagra in tutta la sua potenza visiva, mettendo su carta lo smisurato amore di Izzi per il teatro: l’autore cura con minuzia di particolari ambiente e scenografie, accompagnando i personaggi in gioco in ogni movimento, attraverso lo spazio definito di un luogo che non esiste se non nella sua mente, ma che il lettore riesce a vedere, toccare e annusare come fosse seduto in prima fila.
Con il Trittico del dilemma, il dramma discende sui personaggi e sul lettore come un pesante sudario. La lettura sprofonda in un silenzio rotto solo dall’eco delle bombe e dai lamenti di individui distrutti, perduti e, per questo, alla disperata ricerca di affetti da ritrovare. Sono uomini e donne e ragazzi figli della pace e dati in pasto alla guerra: una guerra che é fisica e intima, globale e personale. E impossibilitati a fuggire via, completamente ipnotizzati dalla verve autoriale di Alessandro Izzi, non ci resta che accettare a nostra volta la cruda realtà, ancora di fronte a dilemmi tanto vecchi, quanto immortali. Una sola cosa é certa: non é nell’indifferenza che si celano le risposte che cerchiamo.
Autore: Alessandro Izzi
Titolo: Trittico del dilemma
Collana: Le Nebulose
Editore: ChiPiùNeArt Edizioni
Dati: 180 pag. brossurato con alette, con fotografie in bianco e nero
Anno: 2019
Prezzo: 13,00 €
Isbn: 978-88-98917-48-8
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