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Venezia 71 - Labour of love

Pubblicato il 30 agosto 2014 da Francesca Polici

VOTO:

Venezia 71 - Labour of love

Sono passati undici anni dall’ultima volta che un film bengalese è sbarcato a lido. Era il 2003 quando Forest… again di Gautam Ghose venne presentato alla Mostra di Venezia. E dopo più di un decennio ecco che il cinema bengalese torna ad occupare il programma de Le giornate degli autori con Labour of love, opera prima di Aditya Vikram Sengupta. Il regista, al suo esordio dietro la macchina da presa, sembra ripercorrere lo stesso cammino del suo connazionale Ghose. Un percorso che si muove sulla scia di quel movimento a carattere socio-politico che, a partire dagli anni Cinquanta, impose la cinematografia nazionale su scala mondiale. Sengupta, infatti, nella realizzazione del suo dramma familiare, con uno stile secco e delicato, fa muovere i suoi personaggi all’interno di una realtà sociale devastata e devastante.

Labour of love è la storia di una giovane coppia sposata che, sullo sfondo di una Calcutta decadente, tenta ogni giorno di tenersi stretto il misero lavoro cui sono costretti. Una storia che racconta con una certa verosimiglianza la lotta quotidiana combattuta dal popolo indiano nei recenti anni della recessione. Anche se, più che sulla recessione, potremmo definirlo un film incentrato sulle intime conseguenze di questa.

La pellicola scorre piatta e silenziosa nella routine dei due innamorati. Con la preminenza di lunghi piani sequenza e campi medi fissi, il regista ci sbatte in faccia la quotidianità di una coppia che combatte ed attende in silenzio la fine di un lungo inferno. Un’attesa che non tradisce mai momenti di isteria o nevrosi, ma procede lenta ed inesorabile negli 84 minuti di silenzio. I dialoghi sono sostituiti dal martellante rumore della fabbrica e il caos della strada, elementi sonori che concedono quel carattere di inquietudine che forse la parola avrebbe spazzato via. Ciò che colpisce con inaudita veemenza è l’apparente serenità con cui i protagonisti affrontano la precaria tragicità degli eventi. Sarebbe errato interpretare il tutto come mera passività, piuttosto una resistenza fortificata da quell’amore che, nonostante tutto, riesce a tenerli uniti. Ad intensificare tale unione, è, forse, anche la speranza e la ricerca solitaria di un sogno che tarda ad avverarsi. Il sogno appunto, tema centrale dell’ultimo cinema indiano. O meglio, l’impossibilità e l’incapacità di sognare ancora. Come larga parte di questa cinematografia anche Labour of love, nell’edificazione di un dramma intimistico, cela una profonda critica sociale. Un film coraggioso, fortemente politico e che grazie alla sua disarmante semplicità formale riesce a colpire e ad accompagnare lo spettatore per l’intero decorso narrativo.


CAST & CREDITS

(A Sha Jaoar Majhe); Regia e sceneggiatura: Aditya Vikram Sengupta; fotografia:Mahendra Shetty, Aditya Vikram Sengupta; montaggio: Aditya Vikram Sengupta, Sanjay Shah; interpreti: Ritwick Chakraborty, Basabdutta Chatterjee; produzione:Salaam Cinema, ForFilms; origine: India, 2014; durata: 84’


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