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Venezia 71 - I nostri ragazzi

Pubblicato il 8 settembre 2014 da Edoardo Zaccagnini

VOTO:

Venezia 71 - I nostri ragazzi

Più spostati verso La bella gente (2009) che verso Gli equilibristi (2012). Perché quel bravo Mastandrea era in fondo un impiegatuccio contemporaneo finito dolorosamente nella tempesta (non solo) economica del presente, ed il suo personaggio, il povero Giulio cacciato di casa dalla moglie, era soprattutto un proiettore di presente, un efficace testimone della crisi generale. Uno strumento dal suono preciso, sul quale, tuttavia, lo sguardo di Ivano De Matteo si posava appena, pur inquadrandolo costantemente. Non si offenda, Mastandrea, che pure per Gli equilibristi, per altro molto bello, si portò a casa un meritato David, ma non era che un perno attorno a cui girava una panoramica sulla ferocia dei nostri tempi, dove se cadi continui a cadere, perché nessuno, o quasi, intorno a te, prova piacere o trova interesse nel vederti smettere di farlo.

Oggi De Matteo, dopo la fortunata parentesi sul ceto medio in grave difficoltà, torna alla buona borghesia capitolina, già bloccata in vacanza ne La bella gente, e ritrovata qui d’inverno tra la calma e l’ordine del quartiere Prati e dei Parioli, professionista di successo, divisa in due mini blocchi come l’altra volta, potremmo dire uno più di destra, l’avvocato, e l’altro più di sinistra, il medico. Dove naturalmente quella politica è una rozza semplificazione per intenderci, ridotta a questioni di film scelti al cinema o di ristoranti prenotati per la cena, roba di caratteri e abitudini, di approccio alle cose ed alle relazioni. Tutto pronto ad essere sconvolto e sovvertito quando lo status conquistato non riesce a reggere gli urti grossi della vita. Quando l’imprevisto é troppo forte, sconvolgente. De Matteo torna con decisione alla borghesia benestante della città, privilegiata e sicura di sé, coi suoi piccoli problemi umani da tenere sotto controllo con un bel respiro, con un attimo d’ansia o una puntuale verbalizzazione. Col conto in banca che puoi anche non starlo a enfatizzare, ma che ogni santo giorno mostra tutta la sua forza.

Sarebbe riduttivo, però, ingabbiare questo interessante (e a tratti assai incisivo) quarto film di De Matteo, in una fotografia della buona borghesia romana. Si rischierebbe di fraintendere il suo cinema. Al regista interessa la bestia ferita, l’uomo di fronte al crollo delle sue certezze, nel momento in cui l’acqua all’improvviso smette di andargli per l’orto e la sua natura più istintiva viene fuori, la sua parte meno ragionevole sale al potere. E siccome ad alcune classi sociali l’acqua per l’orto di solito non va, ecco che automaticamente al regista romano, certi mondi vengono più utili di altri per dire certe cose, sono veicolo narrativo più adatto. Tutto qui, crediamo. De Matteo non è tanto un regista della borghesia, quanto dell’essere umano nel momento in cui non ha più ossigeno e sente dolore. E’ un analista della sua reazione quando sente pericolosissima la minaccia. L’autore filma il momento in cui le comode convinzioni dell’uomo ben inserito nel suo gruppo, si sgretolano fino a trasformarsi in triste ipocrisia. Il punto in cui il docile orsacchiotto domestico si trasforma in lupo famelico. De Matteo punta la macchina da presa su quando gli esseri umani difendono la loro vita e i loro interessi con violenza. Via il rispetto, l’etica, la gratuità, l’altro.

Accadeva già in La bella gente, in maniera diciamo assai più soft, dove al primo rischio concreto (anche lì un figlio minacciato) la borghesia colta ed altruista, faceva dietro front e salutava in fretta la giustizia e la solidarietà. Bastava che allo specchio si vedesse per un attimo le zanne e l’occhio cattivo venirgli fuori. Accade di nuovo, e molto più violentemente, ne I nostri ragazzi, dove per difendere i figli, non da un potenziale amore pericoloso, ma dalla minaccia del carcere o più in generale dalla condanna dell’intera società, ecco che l’individuo "buono", colto, persino salvatore di vite per mestiere, perde la testa, e se fino a poco prima era un paladino della pace e un difensore dei più deboli, una volta costretto alla guerra diventa più cinico dei cinici, più egoista degli egoisti, più guerriero dei guerrieri. Paolo, il chirurgo interpretato da Luigi Lo Cascio, è per certi versi il "più" protagonista del film, è quello che più di tutti teneva la bestia chiusa nello scantinato dell’anima, e che quando il terremoto ha scassinato il catenaccio, si è ritrovato a dover confessare al fratello Massimo, l’avvocato interpretato da Alessandro Gassman, che non è mai stato migliore di lui, seppur per sempre si sia sentito tale.

Liberamente ispirata al romanzo La cena di Herman Koch, I nostri ragazzi è una pellicola interessante, girata con verve e precisione, che affronta un tema delicato che va oltre i nostri anni. Peccato solo che il racconto dei personaggi prenda troppa velocità nel finale e le loro accelerazioni evolutive tolgano il gusto e l’importanza della sfumatura, del dettaglio, del conflitto interno, cosa su cui in passato il regista e la sceneggiatrice Valentina Ferlan erano sempre stati molto bravi. Questo appunto non basta a decretare un passo falso o indietro del regista, che continua ad essere coerente con i temi e maturo nella messa in scena, confermandosi autore di talento e da tenere d’occhio, da attendere fiduciosi al prossimo appuntamento cinematografico.

Reprise:

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CAST & CREDITS

Regia: Ivano De Matteo; Soggetto: Herman Koch (romanzo), Valentina Ferlan; Sceneggiatura: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo; Fotografia: Vittorio Omodei Zorini; Montaggio: Consuelo Catucci; Interpreti: Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Luigi Lo Cascio, Barbora Bobulova, Rosabell Laurenti Sellers, Jacopo Olmo Antinori, Lidia Vitale; Produzione: MARCO POCCIONI E MARCO VALSANIA PER RODEO DRIVE CON RAI CINEMA; Distribuzione: 01 DISTRIBUTION


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