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Bergamo Film Meeting - Premio del pubblico: UNE VIE DEMENTE

Pubblicato il 1 maggio 2021 da Matteo Galli

VOTO:

Bergamo Film Meeting - Premio del pubblico: UNE VIE DEMENTE

Recensendo The Father (http://www.close-up.it/verso-gli-os...), appena insignito a Hollywood di due Premi Oscar fra i quali quello all’interpretazione di Anthony Hopkins, avevamo segnalato la sempre maggior occorrenza, legata al progressivo invecchiamento della popolazione, di film sull’Alzheimer e sulla demenza. E provavamo a sottolineare almeno due caratteristiche strutturali ricorrenti: la concentrazione sulla fase iniziale, più rappresentabile e più trasfigurabile del fenomeno, l’importanza delle prove d’attore/d’attrice che rischiano di diventare una sorta di sottogenere in odore di manierismo.

Vedendo Une vie démente , al Bergamo Film Meeting premio del pubblico, vorremmo, sul piano dell’impostazione complessiva, aggiungerne un’altra: la sostanziale irresolutezza di chi scrive la sceneggiatura, irresolutezza sulla domanda di fondo ovvero la vita di un malato di Alzheimer (fatta salva la premessa che il cinema non giunge mai a rappresentare la fase estrema, l’assai poco appetibile fase terminale) ha senso di essere vissuta oppure no? È consuetudine nei film sul tema, ci pare, non prendere una posizione netta: da una parte si assiste infatti a momenti di assoluta disperazione da parte di chi si ritrova accanto un parente malato, dall’altro assistiamo a momenti di trasfigurazione poetica, magica, infantile che inducono lo spettatore a pensare, ma suvvia, anche solo questi piccoli momenti di lucidità, questi brevi sorrisi, questi istanti di serenità continuano a rendere la vita non totalmente priva di senso e dunque meritevole ancora di essere vissuta. Insomma chi scrive e dirige un film sull’argomento fa una grandissima fatica a schierarsi da una parte oppure dall’altra. Va benissimo, per carità, non è obbligatorio prendere per forza una posizione, solo che ogni volta che si vede un film sull’argomento si ha come la sensazione del déja-vu, anche in questo continuare slittare fra pesantezza e leggerezza, fra tragedia e commedia.

Questa lunga premessa è doverosa a fronte dell’esile Une vie démente , film belga di una regista e di un regista che rispondono al nome di Ann Sirot e Raphaël Balboni che scrivono e girano il loro primo lungometraggio, dopo una collaborazione che dura da più di dieci anni e che fin qui aveva prodotto soltanto cortometraggi. Fatti salvi gli elementi ricorrenti e poco sorprendenti sopra elencati, vi è forse un unico tratto di originalità in questo film non esattamente memorabile ed è l’uso del jump cut che intenderebbe, chissà, costituire un equivalente formale di quel che sta accadendo alla protagonista Suzanne, anche se la tecnica non è utilizzata solo o principalmente quando lei è in scena; dell’altro elemento volutamente originale, invece, si fa fatica a capirne il senso, mi riferisco ai costumi, in particolare al fatto che la coppia è vestita con magliette/pigiami/camicie da notte verdognole a fiorami identiche alla biancheria da letto e addirittura alle copertine dei libri che stanno leggendo mentre sono coricati.

L’età purtroppo relativamente giovanile della malata fa sì che la degenerazione venga a coincidere, a collidere con l’ambizione, pur fra mille esitazioni, della coppia trentenne protagonista (lui, Alex, è il figlio, Noémie è la nuora) di fare un bambino, talché le frequenti scene frontali in jump cut (e con voce fuori campo del relativo terapeuta) alternano sedute da ginecologi per raggiungere l’obiettivo e seduto dalla neurologi per curare la mamma. Questo parallelismo un po’ meccanico conduce alla scena finale con infante e nonna, festosi e gaudenti che vengono entrambi imboccati fra lo stormir delle fronde, una scena che appare francamente molto banale. Com’è banale il continuo ricorso alle Quattro Stagioni di Vivaldi nella colonna sonora, e scarsamente connotato il quarto e ultimo personaggio presente nel film, il coinquilino/badante Kevin.


CAST & CREDITS

Une vie démente - Regia: Ann Sirot, Raphaël Balboni sceneggiatura: Ann Sirot, Raphaël Balboni ; fotografia: Jorge Piquer, Rodriguez; art direction: Lisa Etiennei; interpreti: Jo Deseure (Suzanne), Jean Le Peltier (Alex), Lucie Debay (Noémie), Gilles Remiche (Kevin); produzione: Hélicotronic, L’Oeil Tambour; origine: Belgio 2018; durata: 87’.


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