Venezia 71 - Metamorphoses

Il Vincenzo Monti del nuovo millennio. Così potremmo definire il francese Cristophe Honoré. Dopo Georges Bataille e Madame de La Fayette, infatti, l’autore torna ai riadattamenti cinematografici. Questa volta però con un’opera certamente più ambiziosa, Le metamorfosi di Ovidio, un caposaldo della letteratura antica. Il regista, infatti, partendo dall’epica di Ovidio ha traslato i codici della classicità alla modernità, ambientando il suo Metamorphoses nella Francia di oggi.
L’opera si apre con la giovane Europa intenta a marinare la scuola. Nel farlo, si imbatte nello sconosciuto Giove che la condurrà all’interno di universo mitologico al fianco di personaggi come Orfeo, Bacco, Venere ed Ermafrodita. Fra ammalianti storie dal sapore leggendario e la scoperta di intensi piacere sessuali, la protagonista si immerge nei meandri di un’insolita odissea.
Inutile dire che il film sia fortemente impregnato dell’eredità greca, così come larga parte della produzione artistica del regista. Honoré, infatti, divenuto ormai un veterano dei circuiti festivalieri – da Cannes a San Sebastian – ha sempre arricchito le sue opere di quel tocco classicista che lo contraddistingue nel panorama cinematografico odierno, rendendolo certamente uno degli autori più interessanti. La formazione canonica però, per nulla intacca l’essenza moderna ed universale delle tematiche trattate in ogni sua opera – che sia essa una pellicola o una drammaturgia teatrale o ancora un testo per bambini. L’incesto, la morte, l’abbandono, il dolore e l’amore sono, infatti, espedienti narrativi piuttosto ricorrenti nel suo cinema. Elementi di cui la sua ultima fatica non ne è di certo priva. Metamorphoses è infatti una lunga parabola esistenziale suddivisa in tre capitoli. Una frammentazione filosofica che a tratti risulta essere un po’ troppo discontinua da un punto di vista meramente narrativo. Se nei primi due capitoli il regista riesce a mantenere salda la mano dietro la macchina da presa, nell’ultimo sembra scivolare in qualche vizio di sceneggiatura tipico di un certo cinema d’autore – alla Malik per intenderci. Metamorphoses, infatti, proprio come il non del tutto riuscito The tree of life, sembra perdersi all’interno di un lungo sproloquio filosofico che si esplicita attraverso un impianto visivo surreale. Nell’edificazione di un affresco corale dotato di altissimi momenti estetici, a tratti l’onirico trascende nel grottesco, mostrandosi così come un’opera più pretenziosa che ambiziosa. Forse a causa di una maturità artistica non del tutto raggiunta o per la complessità della materia trattata, sta di fatto che il film, nonostante le ottime potenzialità di cui gode, all’ultimo sbaglia la mira e manca il colpo. Peccato.
(Métamorphoses); Regia e sceneggiatura: Cristophe Honoré; fotografia: André Chemetoff; montaggio: Chantal Hymans; interpreti: Amira Akili, Sébastien Hirel, Damien Chapelle, Mélodie Richard, George Babluani, Vimala Pons, Matthis Lebrun, Samantha Avrillaud, Coralie Rouet; produzione: Les Films Pelléas; origine: Francia, 2014; durata: 102’
