Venezia 71 - Zerrumpelt Herz - The Council of Birds
Germania 1929. A seguito di una lettera dell’amico compositore Otto Schiffmann, Paul Leinert lascia Berlino accompagnato dalla moglie Anna e dall’amico Willi.
Il progetto sarebbe quello di una breve visita nella baita di campagna di Otto, ma, giunti sul luogo, i tre scoprono che il loro ospite è scomparso, sperduto, così pare, nei boschi quieti tutt’intorno.
Nell’attesa del suo ritorno scoprono tra le sue carte le pagine della sinfonia alla quale sta da lungo tempo lavorando. Un’opera ancora incompiuta, giunta appena al secondo movimento, in cui è evidente un lavorio sofferto con una forma non più capace di contenere il profondo anelito d’infinito dell’autore.
La trama di Zerrumpelt Herz è proprio come i boschi attraversati dai quattro viandanti protagonisti: piena di echi.
C’è un piccolo compendio della cultura tedesca nelle immagini di questo film di diploma: la Musica come esperienza conoscitiva, la Natura come fonte di smarrimento filosofico ed esistenziale, il wanderer come archetipo e simbolo di un continuo superamento dei propri limiti.
Nella struttura narrativa si accendono continui riferimenti alla civiltà musicale e sinfonica dell’area germanica: il compositore cerca ispirazione nei suoni di natura come un novello Mahler, ha uno domestichezza borghese che ricorda Schubert, ma con un anelito trascendentale più decadente che romantico.
A livello visivo, poi, i riferimenti pittorici quasi è impossibile contarli tutti e non sono né ovvi, né scontati, né, ed è una gran cosa, invadenti.
A colpire in Zerrumpelt Herz è l’attrito strano tra questa storia goethiana di un continuo “zihet uns inhan”, di questo andare sempre avanti e la forma sorvegliatissima con cui è restituita al suo pubblico. È come se l’enorme messe di riferimenti che compone il racconto alla stessa maniera con cui i fili dorati si intrecciano a disegnare un arazzo, tendesse a diventare una griglia rigida e stretta come un corpetto pieno di stecche. In un certo senso è come se il regista tentasse di serrare il Faust nella finitezza di un romanzo chiuso e stretto. Come un Le affinità elettive in cui il sentimento forza da mille parti e dall’interno la compostezza della narrazione settecentesca, senza, però, riuscire ad essere altrettanto inquietante e problematico. In un certo senso il suo sembra essere un appuntamento mancato con la componente demoniaca del superamento delle convenzioni borghesi. È un Doctor Faustus senza sifilide, un Morte a Venezia senza la peste. Forse per la ricerca di uno sguardo più razionalisticamente novecentesco che coincide con il restare a riva di Anna, mentre il marito si allontana a nuoto, o con la veloce partenza del dottore e di Willi quando la certezza delle solide abitudini comincia a sdrucciolare sotto la tentazione di un altrove che sembra così a portata di mano. Eppure proprio questa mancanza di vertigine dà l’impressione che le cose siano più dette che affrontate.
Così le lunghe carrellate che accompagnano i personaggi nei boschi, la precisione dell’organizzazione delle singole inquadrature, l’accorta organizzazione dello sfondo sonoro sembrano fare a pugni con un senso di mistero che resta più sulla superficie della narrazione che non al suo centro.
Un difetto o un pregio? Uno squilibrio o una scelta pervicacemente ricercata? Difficile dirlo adesso. Bisognerà aspettare piuttosto il regista alla sua opera seconda, quando, meno influenzato da un comprensibile bisogno di dimostrare un’acquisita padronanza del mezzo sarà, forse, più libero di dire e di mostrare.
(Zerrumpelt Herz); Regia : Timm Kröger; sceneggiatura: Roderick Warich, Timm Kröger; fotografia: Roland Stuprich; montaggio: Jann Anderegg; musica: John Gürtler; interpreti: Thorsten Wien (Paul Leinert), Eva Maria Jost (Anna Leinert), Daniel Krauss (Wilhelm Krück), Christian Blümel (Otto Schiffmann), Andreas Conrad (Dr. Mandelbrodt), Theo Leutert (Johannes Leinert); produzione: Viktoria Stolpe, Filmakademie Baden-Württemberg; origine: Germania, 2014; durata: 80’