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Venezia 72 - Bagnoli Jungle - Settimana della Critica

Pubblicato il 29 settembre 2015 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Venezia 72 - Bagnoli Jungle - Settimana della Critica

Con Venezia, Napoli è la città italiana che al cinema più soffre dell’effetto cartolina di una rappresentazione del proprio paesaggio fisico e umano ad altissimo rischio di “déjà vu”. Più che benvenuti, quindi, sono quei film (il primo che torna in mente è L’amore molesto di Mario Martone) che prendono le distanze dal macchiettismo e dall’oleografia partenopea, da Pulcinella, dalla pizza, dai mandolini e dalla malavita dei vicoli, frequentati troppo spesso e non sappiamo quanto volentieri anche dalla televisione che tutto omologa e formatta. Dal figurinismo e dalle immaginette era rimasto felicemente esente il livido e fulminante film d’esordio di Antonio Capuano, quel Vito e gli altri che nel 1991 vinse a Venezia la Settimana della Critica. Nella stessa sezione, ma fuori concorso, Capuano ha portato quest’anno un film “piccolo”, forse meno ambizioso degli altri mélo a tinte forti, tutti di ambientazione napoletana, che nel frattempo hanno arricchito la sua filmografia, ma a nostro parere assai più riuscito e, a suo modo, sorprendente. A sorprendere è una ventata di aria nuova che si avverte nel cinema di un cineasta senza dubbio impegnato e coraggioso, ma non sempre capace di dosare e moderare toni e registri del racconto. Bagnoli Jungle è una sorta di ballata in tre strofe dedicata all’area nei pressi di Napoli dove un tempo sorgevano gli stabilimenti siderurgici smantellati nel 1992 per fare spazio a chiacchiere e promesse di recupero e riutilizzo dell’area, puntualmente, e italianamente, disattese. Tre strofe, si diceva, e altrettanti personaggi di tre diverse generazioni per raccontare la nostalgia di un passato glorioso, la disperazione del presente, e la timida speranza in un futuro fatto di politica buona e fattiva: l’anziano ex operaio Italsider, un balordo mariuolo che inganna il tempo scassinando automobili, e un ragazzetto di 18 anni che fa il garzone in un negozio di alimentari, seguiti, direi anzi quasi pedinati da una macchina da presa memore dello sguardo pasoliniano, non più posato sul ruvido e primitivo proletariato capitolino, ma su quelle porcellane molate di Capodimonte che continuano ad essere, nonostante la miseria e lo squallore del contesto sociale e urbano, i napoletani, spinti alla vita e alla soddisfazione dei propri appetiti - dai più sconvenienti ai più legittimi - da un impulso tutto animalesco e naturale verso il benessere e la felicità terrena. Ma c’è anche altro: se infatti il ventenne Marco Grieco, a dieci anni già protagonista per Capuano de La guerra di Mario, nel passare dalla rabbia alla gioia, nel corteggiare una ragazza, o nell’unirsi a un corteo di manifestanti targati falce e martello asseconda un’istintività molto simile alla viscerale e smagata simpatia di un Ninetto Davoli, l’ottantenne custode delle memorie di una città condannata al duro lavoro nelle acciaierie e a trovare esclusiva consolazione nel culto di Maradona, che si bea dello striptease della formosa badante slava, profuma di un interessante, e piuttosto inedito nell’attuale panorama cinematografico italiano, straniamento rintracciabile in titoli come Canicola di Ulrich Seidl, anch’esso girato ai margini di una grande città, ex Capitale di un mondo scomparso, là sepolto dalla Storia, a Napoli addormentato sotto un vulcano, e fortunatamente, come nel caso di questo nuovo Capuano, capace di riesplodere sullo schermo di un cinema garbato, poetico e civile.


CAST & CREDITS

(Bagnoli Jungle); Regia, sceneggiatura e fotografia: Antonio Capuano; montaggio: Diego Liguori; musica: Federico Odling; interpreti: Antonio Casagrande, Luigi Attrice, Marco Grieco, Olena Kravtskova, Sarahnaomi Attanasio, Angela Pagano, Gea Martire; produzione: Eskimo SRL, Enjoy Movies; origine: Italia, 2015; durata: 100’


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