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Venezia 72 - Ma (Evento Speciale) - Venice days

Pubblicato il 9 settembre 2015 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 72 - Ma (Evento Speciale) - Venice days

Una fanciulla cammina nel deserto. Il suo volto etereo e il fisico androgino, quasi prepuberale, la fanno archetipo di una visione quasi angelicata, di un eterno femminino che si scotta sotto i raggi di un sole impietoso in attesa di un’illuminazione divina che non passa per il mercimonio della parola, ma sta tutta aggrappata al mistero che abita nel corpo e che si apre all’anima.
Dall’altra parte del deserto un ragazzo attraversa il paesaggio a bordo di una macchina. Vecchia, quasi fatiscente. Di quelle che se apri male il finestrino è facile che perdi il vetro per strada. Una vettura che dal tubo di scappamento perde un filo, grigio e intrecciato, che è perdita e cordone ombelicale al tempo stesso.
I due personaggi si incontrano sul ciglio della strada. Lui inchioda per non investirla. Lei solleva appena le braccia in un’immagine iconica di Madonna incoronata e poi si sdraia sul cofano, facendo cenno al guidatore di proseguire il suo percorso con lei appesa fuori: figura mito delle tante madonnine che ci mettiamo in macchina e che magari muovono la testa con gli scossoni del lungo viaggio.
Appena discosto, di lato, nello spazio franco del primo totale dall’alto, un cespuglio in fiamme dona respiro biblico a una nuova storia di maternità forse divina e di umanità che con fatica si eleva verso le vette delle spirito, in cerca del Creatore.
La strada lunga li porta verso Las Vegas e si chiude spesso in tappe di compiti motel dove giocano a rincorrersi i bambini e dove, di stanza in stanza, dolenti carrellate laterali raccontano la non storia di sotterranee alienazioni.
I due giovani si guardano, si studiano, forse anche si amano. Senza una parola che è bandita dall’orizzonte sonoro del film se non nella strana forma del fonema che è più rumore che bisogno di comunicazione.
Le parole sono piuttosto sostituite dal linguaggio piano dei corpi, che vanno ragionando per coreografie.
E mentre i due raccontano una storia evangelica che passa per sguardi e desideri e per lo sgomento del continuo riscoprirsi nel disegno del destino, il resto dell’umanità che non popola troppo queste immagini di quotidiano abbandono, si avvia in marcia nel deserto portandosi appresso il peso schiacciante dei beni del nostro occidente decaduto: un televisore, un materasso, un quadro, una sedia. Tutte cose inutili tra le dune di una crisi valoriale irreversibile.
Parlare di Ma è difficile e semplice al tempo stesso. Difficile per la sua ricerca simbolica, per la sua capacità di ridefinire la grammatica del cinema rimodulandola su quella del balletto che non pensa per campi e per inquadrature, ma per corpi, per volumi, per spazi e per movimenti. Facile perché, al di là della linearità del percorso narrativo, è un film che cammina su una resa più viscerale che cerebrale e per questo arriva alla testa dello spettatore passando per la sua pancia e per i suoi muscoli tesi.
Colpisce l’opera di Celia Rowlson-Hall per la sua capacità di restare cinema anche attivando simbolismi di danza che invitano quasi lo spettatore a bere ogni immagine agognando la trance. Colpisce per la qualità pittorica che è certo anche da palcoscenico, ma che trova nella fotografia accesa e ricca di suggestioni e riferimenti di Ian Bloom una splendida pastosità widescreen. Colpisce per l’intensa qualità attoriale che resta ancorata alla celluloide, ai primi piani e alla recitazione da cinema anche quando improvvisa figure così parenti strette del ballato.
E se Celia Rowlson-Hall costruisce il film intorno a sè e al suo fisico perfetto per il ruolo, anche Andrew Pastides nel ruolo di questo Daniel un po’ angelo, un po’ San Giuseppe lascia il suo segno nel suo sguardo sempre aperto al dolore di un punto di domanda.
Nel complesso Ma è un film non nuovo, ma con una sua necessità e una sua urgenza. E ti lascia dentro un bisogno di Senso che resiste nel tempo, come un seme in cerca di germoglio.


CAST & CREDITS

(Ma); Regia, sceneggiatura e coreografia: Celia Rowlson-Hall; fotografia: Ian Bloom; montaggio: Iva Radivojevic; musica: Brian McOmber; interpreti: Celia Rowlson-Hall, Andrew Pastides, Amy Seimetz, Gabriella Vance; produzione: A Memory presentation in association with Overall Pictures, Wonders Street; origine: USA, 2015; durata: 83’


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