50a ESPOSIZIONE D’ARTE INTERNAZIONALE DI VENEZIA - GIORNO 1

Stamane ha preso il via la 50ma Esposizione d’Arte Internazionale diretta da Francesco Bonami. Il titolo di quest’anno, Sogni e Conflitti. La dittatura dello spettatore, mette in risalto, anche se non di primo acchito, un’esigenza fondamentale: liberare il pubblico dall’impostazione mentale di un organizzatore, rendendolo responsabile nella ricerca di un proprio percorso entro le 11 esposizioni dislocate tra i Giardini della Biennale -con i padiglioni delle nazioni-, le Corderie dell’Arsenale, il Museo Correr e la Stazione Santa Lucia. Due giurie, sotto la presidenza di Salvatore Settis, avranno il compito di scegliere i vincitori del concorso e di consegnare anche i due premi speciali alla carriera. Il 14 giugno la premiazione. Le inaugurazioni di tutti i padiglioni saranno come sempre diluite nei tre giorni della stampa con la presentazione degli artisti e dei loro lavori. A partire dal 15 giugno invece tutti gli spazi espositivi verranno consegnati al pubblico, che quest’anno è a ben vedere protagonista-fruitore della 50ma esposizione. Nell’epoca dei voli a partire da nove euro e del movimento dei no global, le arti visive sono riuscite a cogliere la sfida, globalizzando il punto di vista dell’arte senza permettere ad un organizzatore di seguire un proprio filo conduttore a svantaggio del punto di vista dello spettatore. Questa presa di posizione ha dato torto a quanti credevano che la globalizzazione potesse essere un limite alle individualità. Il pubblico è chiamato invece a seguire individualmente un proprio viatico e a scegliere liberamente i sensi e le direzioni nel più vasto percorso della Biennale. Naturalmente gli artisti hanno contribuito a far si che ciò fosse possibile, imprimendo alla logica dei propri lavori il peso della globalizzazione, cifra di questo inizio millennio. Dei diciassette padiglioni inaugurati stamane, segnaliamo quelli che consideriamo i più rappresentativi. I padiglioni nordici
Con il titolo The blind pavillion (Il padiglione cieco) la Danimarca si è fatta rappresentare dall’artista danese Olafur Eliasson. Molto famoso anche in Germania, dove risiede da dieci anni, Eliasson ha globalizzato la percezione della natura moltiplicandola in decine di immagini uguali e contemporaneamente individuali. Specchi e lenti ritmano la fruizione della vegetazione presente attorno al padiglione oggettificandola, ovvero trasformandola in oggetto. Parti di un insieme che sono vere e proprie porzioni del tutto; segmenti in immagini mobili riflesse o trapelanti nel blocco stesso del padiglione. Ad interrogarsi invece sul concetto di spazio e sul relazionarsi umano ad esso, il padiglione dei paesi nordici: Svezia, Finlandia, Norvegia. Affidato all’estro artistico di Karin Mamma Andersson, Kristina Braein e Liisa Lounila. Il padiglione stesso nella sua architettura fa dello spazio il suo tutto: lo schema è appunto mutuato da Mies van de Rohe con forme razionali facilmente esperibili. Ma al suo centro uno spazio nero realizzato in tela acrilica il cui formato trapezoidale è funzionale alla scansione delle pareti, che costituiscono schermi su cui vengono proiettati tre filmati. Questo spazio è stato realizzato da Liisa Lounila ed i film focalizzano figure che si articolano nello spazio in movimenti piuttosto singolari. Infatti in ogni filmato è presente l’espediente cinematografico detto time-slice, diventato familiare attraverso la trilogia di Matrix. Tra i tre film ricordiamo Popcorn. I filmati si avvicendano uno dopo l’altro, costringendo lo spettatore al centro di questo spazio nero a girarsi su se stesso di volta in volta. Usciti da questo luogo scuro si incontrano le pareti tutte bianche del padiglione ricoperte dalle opere di Karin Mamma Andersson. Pitture raffiguranti spazi familiari da un lato e spazi urbani e vedutistici dall’altro: l’estremamente dispersivo e l’ estremamente raccolto si avvicendano continuamente.
Germania e Israele
Anche la Germania si interroga quest’anno sui concetti di spazio nell’epoca della globalizzazione. Estremamente interessante è il lavoro di Martin Kippenberger (1953-1997) dal titolo Lüftungsschacht (Presa d’aria). Una grata posta a ricoprire un’apertura del pavimento, lascia passare ritmicamente aria a getto e il suono del passaggio di una metropolitana. La globalizzazione porterà forse un giorno questi mezzi super veloci anche a Venezia, dolcemente mortificata dai vaporetti visti ironicamente come barriere al veloce spostarsi nel tessuto urbano. Per chi si aspettava le pitture di Kippenberger, una grande delusione. Amante del concetto del ruolo dell’artista e dell’uomo, Kippenberger ha deformato l’ immagine umana, come fece Francis Bacon, ravvivando l’insieme con una tavolozza ben più varia rispetto a quella del più celebre collega. Israele abbandona i temi legati alla sua delicata situazione politica interna riverberandoli su larga scala e facendosi rappresentare sia all’esterno (superfici murarie) che all’interno del padiglione dall’artista Michal Rovner che ha sviluppato un progetto dal titolo Against Order?AgainstDisorder. In un proliferare continuo ed esponenziale di piccolissime figure umane viste in controluce e ridotte così ad ombre mobili ed uguali, si innesca il tema della bioetica e della scienza: armi chimiche e batteriologiche, la Sars (che ha costretto la Cina a non prender parte alla Biennale di quest’anno), il nuovo nuovo ordine mondiale, le guerre locali. Proprio in riferimento alla guerra batteriologica l’opera Data Zone, vero e proprio nucleo dell’intero progetto, che presenta venticinque piastrine da coltura su larghi tavoli bianchi al cui interno le citate figurine in miniatura che si incontrano, associano, separano come batteri in laboratorio.
[12 giugno 2003]
