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Addii - Carlo Mazzacurati

Pubblicato il 24 gennaio 2014 da Monia Manzo


Addii - Carlo Mazzacurati

È facile ricordare Carlo Mazzacurati: un delicato omone di 57 anni, che come tutti ben sanno ha dedicato tutta la sua intera esistenza al cinema e a molti settori che lo concernono, tutto questo rivestendo disparati ruoli che vanno studioso di cinema, allo sceneggiatore, regista e addirittura attore. Da tempo malato, è morto in ospedale a Padova. Il suo ultimo lavoro è La sedia della felicità, con Valerio Mastandrea e Isabella Ragonese, e dovrebbe uscire in aprile. Leone d’argento a Venezia nel 1994 con Il toro, aveva ricevuto anche il preio Solinas per la sceneggiatura di Marrakech Express di Gabriele Salvatores. Tra i suoi film più conosciuti La lingua del santo, La passione. Poi l’ultimo ruolo di presidente della Fondazione Cineteca di Bologna, dopo la scomparsa di Giuseppe Bertolucci. Ha diretto una dozzina di film a soggetto fuori schema, quasi tutti girati tra Padova e il delta del Po e documentari tutti caratterizzati da un grande impegno sociale e politico, come nel caso del L’unico paese al mondo palesemente contro Berlusconi, Subito, nel 1994 e Medici con l’Africa, del 2010.
Non è altrettanto facile spiegare quanto fosse semplice e speciale al contempo il suo modo di fare cinema.
Molti lo hanno ricordato per il suo impegno in opere cinematografiche che volessero rappresentare il suo nord-est, altri invece sono rimasti colpiti dalla anonima profondità delle storie e dei suoi personaggi; degli uomini comuni, senza particolari personalità che lottano per sopravvivere in un mondo feroce.
È proprio la capacità di vivere nonostante il mondo in cui nasciamo, che colpiva e dava a Mazzacurati una forza creativa e immaginifica, tale da poter ideare personaggi che potremmo definire dei commoventi anti-eroi.
La sua poetica cinematografica ha un grande legame con il reale, forse una reazione e un "detachment" dalle avanguardie degli anni 70, un tentativo di mostrarci cosa siamo veramente attraverso storie lineari e chiaramente neorealiste.
Basta citare Notte italiana, prima sceneggiatura scritta in coppia con Bernini e poi diventata film nel 1987, Storia di malaffare e corruzione ambientata sul delta del Po, il film è il frutto di tre fortunati esordi: Nanni Moretti come produttore (è il primo film prodotto dalla neonata Sacher di Moretti e Angelo Barbagallo), Mazzacurati alla regia e Marco Messeri come attore protagonista, in cui sono apparsi Mario Adorf, Roberto Citran, Memè Perlini, Remo Remotti. Messeri vincerà il Globo d’oro come migliore attore dell’anno mentre al regista andrà il Nastro d’argento come migliore esordiente.
Da quel momento la sua attività artistica sarà costante e come sappiamo su più fronti, ciò che colpisce è una presenza continua nel tempo di documentari, attraverso i quali Mazzacurati ha reso un’idea totale della sua visione, andando così a scavare in storie senza le quali non avrebbe potuto dare il giusto respiro alla sua visione dell’esistenza e degli eventi nella loro essenza più cruda e a tratti commovente. Se ne è andato per molti un cineasta in grado di coinvolgere con il suo linguaggio lineare e profondo fasce di pubblico socialmente diverse, un modo di fare cinema che ci ricorda da dove veniamo e che dovremmo mantenere un’eredità artistica che contraddistingue l’Italia da sempre.


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