X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Addii - Ciao Ennio, immortale sceneggiatore

Pubblicato il 20 novembre 2008 da Edoardo Zaccagnini


Addii - Ciao Ennio, immortale sceneggiatore

E’ la storia di un uomo che nacque a Roma il 9 dicembre del 1923. Un anno dopo, uno soltanto, dalla marcia fascista su Roma. E’ la storia di un uomo che è morto ora, qualche ora fa, neanche un mese dopo che un signore abbronzato è diventato il primo presidente nero degli stati uniti d’America. Ma è anche, ed è soprattutto, la storia di un veicolo, di una barchetta, di una lambretta mille modelli, con cui risalire la storia di una cosa che si chiama cinema italiano del dopoguerra, e che, a sua volta, ha accompagnato, come un cane fedele, la controversa storia moderna del nostro paese. Proviamo a raccontare la storia di quest’uomo attraverso le sue firme all’inizio dei film, quando la gente si è appena seduta al buio e la pellicola sta per cominciare. Firme che si affiancano, una dopo l’altra (sempre un attimo prima) a quelle dei registi: i creatori primi e ultimi di quelle sequenze associate e sonorizzate che chiamiamo film. Quest’uomo si chiamava Ennio, faceva lo sceneggiatore e se ne è andato via dal mondo, silenziosamente, e senza portare con sé quel patrimonio enorme di storia e di emozioni che stanno vive e mobili sugli scaffali delle nostre videoteche. Pubbliche e private. Ce le ha lasciate come fanno i signori e le utilizziamo un attimo, adesso, per rendergli omaggio e per ripercorrere, per una volta ancora, la storia delle nostre abitudini. Si Chiamava Ennio, e di cognome De Concini, e nella sua lunghissima carriera ha scritto più di 150 sceneggiature, per film di grande successo di pubblico come pure di critica. E allora è quasi ovvio che nel 62’ si sia portato a casa un Oscar meritato per aver scritto, insieme ad Alfredo Giannetti, quella bomba cinematografica che conosciamo con il titolo di Divorzio all’italiana (Pietro Germi). E se vogliamo partire dal contributo di quest’uomo a mezzo secolo di commedia cinematografica italiana, ricordiamo Le diciottenni di Mario Mattoli, (1955) una delle prime pellicole italiane sui giovani, tema che sarà piuttosto centrale nella commedia che verrà, ed Esterina di Carlo Lizzani, (1959), documento su un mondo contadino in agonia e sui sogni, cittadini e presto infranti, di una graziosa e ingenua ragazza di paese. E ricordiamo I Don Giovanni della costa azzurra, una delle prime commedie sui viaggi degli italiani all’estero, anche quelli piuttosto importanti nell’economia storica del nostro cinema popolare (pensiamo a Il diavolo, a Fumo Di Londra, a Costa azzurra, a La ragazza con la pistola, a Parigi è sempre Parigi, a Le svedesi, e via dicendo). E per tornare, poi, alle fotografie di un paese che cambia, pensiamo a L’attico, di Gianni Puccini (1962): una commedia abbastanza precisa e lucida sulla Roma del boom e sulle sue mostruose figure. E non finisce qui, come diceva Corrado, perché sul filone della commedia politica, De Concini si è dato fare attraverso Colpo di stato di Luciano Salce (1968): prodotto poco “fanta” e molto politico sulle tensioni sociali (e politiche, appunto), più o meno latenti, di quegli anni di storia italiana. Da associare, per più di un motivo, a La pecora nera, ancora di Luciano Salce, (1968), commedia caustica, non del tutto riuscita, sulla connivenza tra i vari poteri in un bel brutto paese. Storia del potere e storia del costume, intrecciate come si deve nell’esistenza e nel percorso artistico dello sceneggiatore italiano, che ci ha detto addio, poche ore fa, lasciando a tutti una gustosa ed immortale eredità. E se del costume che cambia fa parte la produzione massiccia di automobili, ecco che nel 1962, De Concini disegna una storia (ad episodi) di italiani innamorati e schiavi dell’obbligata motorizzazione di massa: I Motorizzati, semplicemente, e a fagiuolo, di Camillo Mastrocinque. E poi, per continuare ad elencare titoli di commedie che fanno la storia del nostro film popolare, rammentiamo la partecipazione all’opera umoristica che meglio segna il passaggio dal boom alla congiuntura: quel L’ombrellone di Dino Risi (1965) in cui certa imprenditoria sgraziata e ingranata, inizia a chiedersi, su una barca a largo di un’affollatissima Riccione agostana, dove stia andando il paese e come sia fastidioso quel vento sottile e preoccupante di decadentismo piccolo borghese. Scarichiamo altri titoli dal ricordo di Ennio e due parole su Il medico e lo stregone, di Mario Monicelli, (1957), una commedia con il tridente De Sica, Mastroianni, Sordi, ottima per ribadire, sulla scia della fortunata commedia strapaesana e rosa, la contrapposizione tra ingenuità contadina e carnivora modernizzazione. E come non ricordare il per certi versi pionieristico Gli eroi della domenica, sugli affari e gli interessi già orbitanti, nel 1952, intorno al mondo del calcio. Non stiamo parlando di un capolavoro, ma di un film in salute e brillante sorretto dalla classe registica del maestro Mario Camerini.
E concludiamo, per dire di uno scrittore importantissimo del cinema italiano, sul meraviglioso Operazione San Gennaro, firmato da Dino Risi, [1966] e forte in suggestioni napoletane, in comicità ancorata al reale, nella patriottica ed invincibile arte d’arrangiarsi, e in interpretazione attoriali di grande spessore. Chi non ricorda i consigli di Totò al disgraziato Dudù (Nino Manfredi), sulle possibilità di guadagnare denaro senza irritare gli umori del santo più santo dei napoletani? Chiudiamo la fase commedia e apriamo quel capitolo, ancora una volta tutto italiano, che passa alla storia come “Peplum”: i film storico-mitologici girati (da registi che passavano dalle farse corali e spesso totiane a pellicole virili ed eroiche) a due passi da Roma come se fosse l’antica Grecia o l’antico impero romano. Quei film (di uomini forzuti e muscolosi, pieni di coraggio e di donne pudiche e belle, dai lisci e lunghi capelli) erano (e sarebbero ancora) buoni soprattutto per viaggiare gratis nel tempo e per ripassare, o imparare (in quegli anni 50/60 di scarsa cultura di massa, come nei nostri pigri e viziati dai consumi) qualcosina di storia basilare. De Concini ne ha scritti tanti, di questi bizzarri film di intrattenimento, amori, imprese e combattimento, ed eccone, aggregata un po’ di corsa, una serie non brevissima di titoli, talvolta anche buffi: Cartagine in fiamme, di Carmine Gallone, (1959), Arrivano i titani, di Duccio Tessari, 1961, Costantino il grande, di Lionello De Felice, (detto anche, Hamilton Michael) (1960), Crollo di Roma, di Antonio Margheriti (1963), Ercole e la regina di Lidia e L’assedio di Siracusa, entrambi di Pietro Fancisci, (1959 e 1961). E poi ancora: Esther e il re, di Raoul Walsh, 1960, Ercole e la regina di Tebe, (1957), La battaglia di maratona, 1959, La cortigiana di babilonia (1955), La nave delle donne, (1962) Messalina, venere imperatrice (1959] Le fatiche di ercole (1958) Maciste nella valle dei re (1960), Le legioni di Cleopatra (1959) Orazi e curiazi (1961) Romolo e remo (1961), Ulisse (1954), Saffo venere di lesbo, La regina delle amazzoni (1960). Fino a citare Gli ultimi giorni di Pompei, di Mario Bonnard (con la collaborazione di Sergio Leone) (1959) e Il colosso di rodi (Di sergio Leone) con cui iniziamo a parlare del capitolo riguardante il rapporto dell’importante scrittore cinematogtrafico con i grandi autori del nostro cinema.
La prima sceneggiatura di De Concini è Il brigaInte Musolino, film del 1950 diretto da Mario Camerini. La pellicola, al tempo della sua uscita, riportava in cinema un argomento solo in parte legato al passato. Perchè la faccenda di un brigante attivo già all’epoca del Re Umberto era tornata di forte attualità negli anni della sua scarcerazione. E il Brigante Musolino già inquadrava, nei primi anni del dopoguerra, l’ingerenza e la prepotenza dei poteri mafiosi nel meridione italiano. Troviamo il modo di infilare due righe su un altro classico del cinema italiano: La risaia (un pò realistica e molto melodrammatica) di Raffaello Matarazzo, film del 1956, giusto per arrivare all’importanza di un film come La lunga notte del ’43 (1960) diretto da Florestano Vancini e scritto da De Concini in collaborazione con Pier Paolo Pasolini. Il film rientra nel filone storico resistenziale italiano, quello che guarda agli anni della dittatura e della guerra senza passare per la risata. C’è una fervida tensione morale e non manca la denuncia. Si respira un preciso senso dell’atmosfera nella descrizione di una Ferrara invernale e cupa. Dello stesso filone fa parte anche un altro film sul passato allora recentissimo: Tiro al piccione, diretto da Giuliano Montaldo nel 1962 e scritto, ovviamente, da Ennio De Concini.
Sono tanti, insomma, i film cosiddetti d’autore, scritti da Ennio il grande: da Un maledetto imbroglio di Pietro germi, 1958 (tratto da Gadda come La Lunga notte del 43 era tratto da Giorgio Bassani) a Una vita violenta di Brunello Rondi (1962), su soggetto, ovviamente, di Pier Paolo Pasolini. Da Europa di Notte, (Doc.) di Alessandro Blasetti (1958) e La maschera del demonio di Mario Bava a Il grido, di Michelangelo Antonioni, (1957). Da Italiani brava gente di Giuseppe De Santis, (1964) a Il diavolo in corpo, di Marco Bellocchio, (1985). Da Salon Kitty di Tinto Brass, (1975) a Pazzi Borghesi del grande Claude Chabrol. Da Copkiller (Esordio di Roberto Faenza) a Invito al viaggio di Peter Del Monte.
Poi, dagli anni 80, De Concini ha iniziato a lavorare per la televisione italiana, ed anche lì ha dato prova di grande talento e mestiere. Egli è il padre di quel successo internazionale chiamato (La Piovra), senza il quale non sarebbe famoso in mezzo mondo il commissario Cattani. Ha scritto, inoltre, Storia d’amore e d’amicizia, con Ferruccio e Claudio Amendola, e Pronto soccorso, e, poi, per Mediaset, Disperatamente Giuliae il remake di Marcellino pane e vino, fino ad uno dei suoi ultimi lavori prima che la malattia lo cogliesse: La quindicesima epistola nel 1998. Ora, oggi, Semplicemente grazie, Ennio De Concini, scenegiatore di mezzo secolo di storia del cinema italiano.


Enregistrer au format PDF