X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Addii - Marcello Mastroianni

Pubblicato il 20 dicembre 2006 da Edoardo Zaccagnini


Addii - Marcello Mastroianni

Sono giorni in cui la figura di Marcello Mastroianni scorre sacra sui quadranti televisivi e nelle suite del cinema. Giorni in cui si familiarizza coi visi delle figlie Chiara e Barbara, dell’unica moglie Flora e dell’ultima compagna Anna Maria. Giorni in cui si spinge al massimo su ogni dettaglio, su ogni primo piano, su ogni aneddoto. Si ricordano i suoi film: il più bello, il più scomodo, il più divertente, il più particolare. La critica è chiamata ad omaggiare e a sedersi dove capita per aggiungere parole di mestiere. Il pubblico a riassaporare, ricordare, riapprezzare il più bell’attore di famiglia. Già la festa di Roma ci aveva pensato, nel luogo che forse più rassomiglia al divo: quella “Casa del Cinema” così sobria ed elegante, immersa nella natura che si affaccia su Via Veneto, accanto ad uno slargo, non a caso, intitolato proprio a Marcello. Lo aveva fatto scegliendo i film più significativi, molto spesso i meno accessibili al pubblico.
Dieci anni dalla morte per cementare la leggenda di un uomo, leggermente sorridente, indeciso tra la forza e la fragilità del maschio moderno. Il meno italiano e piccolo borghese di quelli che Brunetta chiama i cinque moschettieri: Sordi, Gassman, Manfredi, Tognazzi e Marcello, appunto. Mastroianni. L’uomo che nacque ad Arpino e che nel film Intervista lo dichiara apertamente, in dialetto, ad una comparsa conterranea. Proprio quando, a distanza di ventisette anni reinterpreta divertitamente quel mito costruito su un fotografo incosciente e smarrito sulla soglia di una mutazione antropologica: La Dolce Vita. Ma prima che la sua vita sia dolce e che quella di Fellini arrivi a consacrarne la bellezza e la bravura, il cammino del ragazzo di Arpino è l’interessante percorso di un attor giovane che ama il teatro ma si dedica faticosamente anche al cinema. Gli anni cinquanta di Marcello sono un passare tra i piccoli ruoli della commedia cittadina (quella dei poveri ma belli per interderci) ai grandi testi teatrali di cui è innamorato e che sedimenteranno in lui accompagnandolo fino alla fine. Fino a quel 19 dicembre di dieci anni fa. C’è un anno, c’è un regista e pure un film chiave, per parlare del Marcello anni cinquanta, e di Marcello in generale. Il regista è Luchino Visconti, il film, incantevole, è Le Notti Bianche. L’anno è il 1957. Mastroianni al cinema è fino a quel punto una manciata di piccoli mestieri onesti inventati da nuovi e vecchi commediografi del cinema: il meccanico in Vita da cani (con la coppia Steno Monicelli), il fotografo con Blasetti in La fortuna di essere donna; il vigile urbano in Domenica d’agosto, di Luciano Emmer. Ma soprattutto il tassista. Tre volte: in Peccato che sia una canaglia, Le ragazze di piazza di spagna, Passaporto per l’oriente. Qualcuno si divertirà a dargli del “tassinaro”. Lo ricorda anche Rondi, quando gli chiedono di Marcello. E poi la piccola rivoluzione personale di Le Notti Bianche. Marcello e Luchino si conoscono già da tempo: dal lontano ‘48, quando Zeffirelli disse a Visconti: “Ho conosciuto un giovane bellissimo, dal profilo romano, forse ha le gambe un po’ troppo magre rispetto al busto, ma per il resto è stupendo. Sarebbe perfetto per uno dei due nobili che seguono il duca in esilio”. Lo spettacolo è Rosalinda o come vi piace, di William Shakespeare e Mastroianni inizia un cammino formativo che passa per L’oreste dell’Alfieri, per Troilo e Cressida, ancora di Shakespeare, per Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, per Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, per La Locandiera di Carlo Goldoni e per un sacco di Checov, che a Marcello piace tanto perché lo definisce, parafrando quella all’italiana, l’autore della “commedia alla russa”.
Marcello matura, cresce, conserva in sé la lezione e assorbe i testi. Dirà in futuro che un attore non deve mai immdesimarsi del tutto nella parte: che un occhio è dell’attore, l’altro del personaggio. Concorda con Diderot e col suo paradosso dell’attore, ma la sua sensibilità si acuisce, l’indole bonaria trova giustificazion d’essere. Dirà di Visconti: “Mi ha insegnato buona parte di quello che so. Soprattutto a capire i testi. Quella partenza mi ha fatto intuire le mete da perseguire anche nel cinema. Ed il ’57 è l’anno in cui si incontrano Marcello, tutto questo e il cinema. Dostoevskij consente la fusione di realismo ed artificio, di cinema e teatro, di magico e di quotidiano. Concede a Visconti la possibilità di chiudere con la fortuna e la condanna del neorealismo, a Marcello il primo ruolo di intellettuale esistenziale, romantico e sognatore, vagabondo di origine quasi letteraria.
C’è un filo che lega questa svolta alla seconda, ancora più famosa, fragorosa e clamorosa: quella del ’60, con Federico Fellini. L’aneddoto è risaputo e colorato. In due battute: Federico ed Ennio Flaiano sulla spiaggia di Fregene. Arriva Marcello sornione ed un po’ timido. Fellini: “De Laurentiis vuole Paul Newman, ma io lo trovo troppo divo, troppo sicuro di sé, troppo internazionale. Prefererei che lo facessi tu”. Marcelllo rimane un po’ così e chiede qualche appunto sull’eventuale personaggio. Federico estrae un foglio dalla borsa: c’è disegnato un uomo con un grosso pene e creature marine che gli girano intorno…
Inizia un sodalizio artistico tra due grandi bugiardi che dura fino al 1987, fino ad Intervista, in cui Federico porta Marcello in una villa dei castelli dove abita l’ormai vecchia Anitona: Lui a lei: "Sembri un gladiatore". Lei a lui: "Dove sono le cicatrici del lifting?"
Per magia ritrovano le scene della Fontana di Trevi e quelle del ballo in cui Marcello le chiede: “Chi sei? La luna, la madre, la terra chi sei?”. Fellini si serve della morbidezza e della versatilità di Marcello, molto più comodo di Volontè. Si fa prestare la carne per Otto e mezzo, lo getta nella sua paura per l’evoluzione del costume femminile in La città delle donne, lo rende ancora tenerissimo nei balletti con la Masina di Ginger e Fred. Lo infila pure in Roma. Ma Marcello, da buon virtuoso e da gran talento qual è, sa ballare con Federico e tradirlo per bisogni personali. Come quando deve scrollarsi di dosso l’immagine del latin lover che La Dolce Vita gli ha comportato. E allora accetta senza remore il ruolo di impotente che l’attuale compagno della Bardot ha appena rifiutato: nasce il capolavoro de Il Bell’Antonio, in cui forse Marcello è bello come non lo sarà mai più. La fotografia e la cultura dello spazio che gli offre Bolognini lo rendono incantevole e tragico. I baci sull’altalena con la Cardinale restano tra i suoi più grandi momenti di cinema.
E se in Divorzio all’italiana dell’anno successivo, Marcello sembra ritornare ai fasti del maschio latino dominante, il leggero grottesco ed il piedino finale della Sandrelli sulla barca, segnano la fine di un mito, di un paradigma che l’Italia sta perdendo. E’ un momento antropologico che Marcello, con la sua grandezza e la sua duttilità, sa personificare con maestria. Farà il gay, l’uomo incinto, sposerà una nana. Mentre amerà tantissime donne nella vita e sullo schermo. Passerà il tempo, ci abitueremo alle tempie bianche, sempre affascinanti, di Mastroianni. Ameremo i suoi passaggi con Petri, quelli con Ferreri, con De Sica, quelli con Scola. Saranno lunghe e particolari storie d’amore, forti quasi quanto quelle con Visconti e con Fellini. Avrà avventure con tanti registi, giovani e meno giovani. Non lascerà mai il teatro. Si vestirà di bianco, un giorno, ormai anziano in Portogallo e si racconterà in un modo semplice e straordinario. Dirà Mi ricordo sì, io mi ricordo e sentirlo ricordare farà intenerire ed amare quel vecchio un po’ furbetto e un po’ bambino.


Enregistrer au format PDF