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Al via il Festival internazionale del film di Roma 2008

Pubblicato il 22 ottobre 2008 da Alessandro Izzi


Al via il Festival internazionale del film di Roma 2008

Novità quest’anno per Close-up. La nostra webTV seguirà la manifestazione con un videodiario che concentrerà la sua indagine soprattutto su una sezione ricca e stimolante come L’altro cinema. Ci sarà, inoltre, spazio per pillole di interviste video e simpatici approfondimenti. Non mancherà, infine, la consueta ricognizione critica sulla manifestazione con recensioni, riflessioni e spazio per il dibattito. STAY TUNED!

EDITORIALE:

UNA ROMA CON PIU’ SPINE

In Romeo e Giulietta Shakespeare si interrogava sulla futulità di un nome rispetto alla insondabile “fattualità” dell’essenza. Una rosa non resterebbe lo stesso una rosa anche se il suo nome diventasse un altro? Non avrebbe lo stesso profumo? Gli stessi petali di velluto dei più variati colori?
La domanda retorica sembrerebbe invitare ad una risposta semplice ed immediata. Scontata a suo modo. Ma la futilità del nome, nel suo offrire sempre e comunque l’apparenza di una cosa, spalanca di fronte all’uomo la vertigine del vuoto. Se la rosa prendesse un nome composto da sedici sillabe, ad esempio, difficilmente gli innamorati lo eleggerebbero a fiore da offrire alla donna amata. Non fosse altro che per l’impiccio di doverlo proferire davanti ad un fioraio annoiato. Meglio a questo punto un paio di margherite.
Cambiare il nome spesso è anche, necessariamente, cambiare l’essenza della cosa. Rondi lo sa e nel cambiare le titolazioni della ex Festa del Cinema (ora Festival Internazionale del Film di Roma) non vuole limitarsi a dare semplicemente un altro nome alla rosa, ma vuole dare, al pubblico che si spera accorra numeroso, il senso incontrovertibile di una svolta. Più politica che artistica. Più di immagine che di sostanza. Perché quando si guarda alla manifestazione che parte oggi in pompa magna si ha l’impressione che ad essere stati cambiati siano, appunto, solo i nomi. L’apparenza, quindi, a scapito di una sostanza che è rimasta sostanzialmente invariata.
La rosa con un altro nome è rimasta in fondo rosa. Il che si addice bene a questa Italia gattopardesca che cerca sempre di cambiare qualcosa perché tutto resti com’è. Ma poi si guarda meglio e ci si accorge che questa rosa rondiana non è proprio uguale alla precedente. Il profumo, forse, è lo stesso, ma sono aumentate le spine. A tenerla in mano ci si punge di più.
Il problema, a monte di questa scelta, è che siamo in Italia e l’italietta politica è poco più di un paesello in crisi che pensa al problema del maestro unico (ora chiamato maestro prevalente: altro nome che cambia). Un paese afflitto dal provincialismo più spinto che celebra gli italiani all’estero e finge di non accorgersi che, se quegli italiani sono stati costretti ad andarci all’estero, la colpa è della sua atavica incapacità a fornire occasioni e progettualità. Un’Italia che si lamenta del nobel scippato ai ricercatori italiani e che, dall’altra parte, taglia i fondi alla ricerca e alla sperimentazione.
In questo quadro tramutare la Festa in Festival certifica, in primo luogo, la volontà di far assurgere la manifestazione ad una dimensione più apertamente istituzionalizzata e riconoscibile. La vecchia impostazione sinistrorsa rivendicava il desiderio di una manifestazione aperta alla gente che ama il cinema. Puntava su prezzi bassi sui red carpet ben fioriti, su una discreta quantità di glamour e, soprattutto, su tanto, tanto cinema. Il suo modello era la sagra di paese, con le tensostrutture provvisorie, la confusione della folla di curiosi e i bambini sciamanti per vedere i film di Alice nella città. Il nome non corrispondeva alla cosa, ma all’idea che era a monte alla cosa. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e la Festa del cinema era confusa, caotica, rumorosa oltre le intenzioni di confusione, caos e rumore dei suoi organizzatori. Ti inebriava con il numero sterminato di film divisi in tutte le sezioni, ma ti lasciava con l’impressione che, in quel marasma, potevi solo perderti. E allora ti dicevi che in fondo è tipico di una festa lasciarti un po’ frastornato. Alla sagra di paese non chiedi che ti informi sullo stato del cinema mondiale. Né pretendi che alla sua base ci sia un programma ferreo, statuario.
Queste sono semmai cose che chiedi ad un festival. Ed un festival lo ritieni riuscito quando, a colpo d’occhio, ti dà il senso di un’annata di cinema ancora a venire. Quando senti, guardando il programma, che dietro alla scaletta delle proiezioni c’è un pensiero unificante. Un pensiero che lega insieme il film forte ed atteso a quelli piccoli ed indifesi. Quando pensi che oltre alle promesse di nomi consolidati c’è sempre spazio per la scoperta, per il nuovo.
Una festa poteva fregarsene di queste cose. La sua unica preoccupazione doveva essere la ruota panoramica al centro della piazza. Se Rondi passa da Festa a Festival, però, questi problemi dovrebbe farseli. E a guardare il programma, si ha l’impressione che non se li sia fatti abbastanza. Che abbia solo cambiato il nome dimenticandosi di portarsi dietro la sostanza. Ed ora quella sostanza sta lì a fare a pugni col suo nome nuovo. Un nome che promette quello che il programma, già reso noto da tempo, ti dice già che non vuol mantenere. Il Festival è rimasto nell’intimo Festa e il suo nuovo nome è una bugia. Dietro i suoi centocinquanta titoli presentati in programma, non sembra esserci un pensiero unificante. Si ha semmai l’impressione che la quantità sia un modo per mascherare la mancanza di qualità. Ed è talmente variegato il tour che ci aspetta, che ti passa pure la curiosità di starci dietro. Questo festival incuriosisce poco. E rischia di suscitare per lo più indifferenza. Un possibile primo passo verso una prossima chiusura.
Ora i film non li abbiamo ancora visti e non possiamo certo parlare se non per intuizioni. Della rosa sentiamo ancora solo il profumo, ma non possiamo certo toccarla. Restano, però, i difetti di impostazione delle passate edizioni: una sezione competitiva sulla carta debole, anteprime di grido un po’ troppo telefonate (High school musical 3 che ci fa in un festival?) e il rischio concreto che i film delle sezioni collaterali (Alice e L’altro cinema) siano più interessanti di quelli in concorso.
Staremo a vedere, per il resto Close-up conferma la sua intenzione di seguire la manifestazione fin nelle sue più piccole espressioni. Con tante novità.


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