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L’INCREDIBILE STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE: INTERVISTA AL DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA VALERIO AZZALI

Pubblicato il 19 dicembre 2020 da Eleonora Anna Bove


L'INCREDIBILE STORIA DELL'ISOLA DELLE ROSE: INTERVISTA AL DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA VALERIO AZZALI

L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (vedi la nostra recensione http://www.close-up.it/l-incredibil...) è stata la nuova sfida di Sydney Sibilia che racconta la straordinaria avventura italiana nel ’68 con protagonista l’ingegnere Giorgio Rosa, interpretato da un eccellente e camaleontico Elio Germano. Giorgio, propenso a vivere in un mondo tutto suo, decide pertanto di costruire un’isola, non senza problemi. Abbiamo intervistato il direttore della fotografia Valerio Azzali per saperne di più ed entrare nei segreti della "chimica" della produzione cinematografica.

Di quali espedienti, dal punto di vista strettamente fotografico, ti sei servito per ricreare Bologna e Rimini degli anni ’68 /’69, un’atmosfera talmente affascinante? Quale attrezzatura, illuminazione e quali lenti hai sfruttato?

Valerio Azzali: La volontà era quella di ispirarsi ai metodi di ripresa degli anni Sessanta: cercare di riprodurre (ovviamente in digitale) quell’effetto che io ricordavo delle pellicole che venivano utilizzate cinematograficamente e anche amatorialmente per fare le riprese dei film, del formato Super 8. Abbiamo dunque fatto uno studio cromatico per tentare di ricreare gli effetti dell’Ectachrome della Kodak, fondamentalmente. Siamo partiti da una documentazione inerente i film dell’epoca, da Hitchcock a Godard, che sfruttavano quel tipo di emulsione e ci siamo ispirati al formato CinemaScope, utilizzando lenti anamorfiche. In digitale, ad esempio, il formato originale ha un Aspect ratio di 1:2.39, mentre nel caso del CinemaScope era un po’ meno panoramica, pari a 1:2.35. Alla fine, abbiamo voluto mantenerci rigorosi su questo. Per cui, la release finale del film è 1:2.35, togliendo sia un pezzettino del film a sinistra che a destra del fotogramma iniziale che avevamo impressionato. Tecnicamente, la volontà era quella; poi, ovviamente, il risultato lo ottieni anche con il supporto di scenografia e costumi. Abbiamo richiesto costumi e colori ben definiti sul set, poiché le emulsioni dell’epoca avevano questa caratteristica: i colori primari si accendevano tantissimo, mentre tutto il resto era molto più sottotono. Per me, un punto di riferimento era la scena girata a Capri ne Il Disprezzo di Jean-Luc Godard, in cui la Bardot indossa un accappatoio giallo che spicca nel blu del mare, nel verde della vegetazione e nel marrone delle rocce. Era quello il nostro punto di riferimento. Il nostro era un film molto complicato. Volevamo girare in anamorfico. D’altronde, quando vuoi girare un’opera d’epoca, puoi farlo in due modi: o celi il 2019, stringendo ed inquadrando il meno possibile, oppure inquadri il più possibile e sfrutti la tecnologia digitale per rimuovere quello che c’è di sbagliato e ricostruire ciò che serve. La soluzione che abbiamo abbracciato è quest’ultima: girare, appunto, un film sugli anni Sessanta. Abbiamo dunque sfruttato delle lenti anamorfiche particolari, molto regolari. E non è affatto facile girare in questa maniera in un film pieno di effetti speciali. Le ottiche anamorfiche usate non interferivano con gli effetti speciali. E poi abbiamo utilizzato, come camera, la Alexa LF per ampliare la percezione visibile del film con un grande sensore affinché i grandangoli non dessero la sensazione di deformità, pur mantenendo un campo visivo molto ampio.

Quanto sono durate le riprese? Quali son state le difficoltà riscontrate che magari non immaginavate nel momento di scrittura e che invece si sono poi presentate sul set?

Valerio Azzali: Le riprese son durate 11 settimane e abbiamo girato in posti completamente differenti: a Roma, nella provincia laziale, ovviamente a Bologna, Rimini e Riccione, Cogne; la parte relativa alla piattaforma è stata invece girata a Malta. Alcune difficoltà erano prevedibili, altre invece non lo erano. La parte più difficile è stata proprio quella della piattaforma: fotograficamente è stato difficile stare fermi in mezzo all’acqua col sole che si muove. Mantenere la continuità era l’aspetto più complicato. A Malta ci sono i Malta Film Studios con delle piscine lunghe 100x80 mt: abbiamo ricostruito la piattaforma all’interno di esse. In verità, questa scelta non ha semplificato particolarmente le cose. Prima di tutto, dovevamo girare a 360° e noi avevamo solo un lato coperto dal lato visivo del mare, sull’altro c’erano gli Studios. Alla fine, abbiamo dovuto costruire 200 mt lineari di Blue Screen che circondavano la piscina, che coprivano quasi tutto il perimetro di essa e circondavano l’isola. Abbiamo dovuto posizionare quest’ultima in un punto strategico, in quanto c’era un’interazione reale tra le barche che si avvicinavano all’isola e le persone che si tuffavano in acqua. Allo stesso tempo, necessitavo di inserirle in uno spazio che mi consentisse di intervenire fotograficamente parlando, soprattutto, per mantenere la stessa luce durante l’intero corso della giornata. Dovevo capire a quale distanza potevo mettere dal bordo della piscina l’isola affinché potessi lavorare con le gru, sia coi proiettori che con un panno da 14x14 mt che abbiamo fatto costruire appositamente per coprire il sole. Abbiamo sfruttato una gru da 70 mt per stelo, tra l’altro costosissima. Un’altra difficoltà è stata la scena in cui il personaggio interpretato da François Cluzet giunge al Consiglio d’Europa, girata a Cogne; la sceneggiatura doveva iniziare con la neve, ma quando siamo arrivati ha iniziato a diluviare e si è creato un acquitrino di acqua e ghiaccio, che poi è quello che effettivamente si vede nel film: suggestivo ma un incubo per girare, molto faticoso.

A proposito della scena di Elio Germano alle prese con la tempesta, puoi raccontarci qualche aneddoto?

Valerio Azzali : La scena con la tempesta è stata particolarmente complicata. È vero che vi erano gli interventi digitali, ma anche degli effetti speciali reali: c’era la pioggia finta realizzata da noi, l’ondata con uno scivolo d’acqua di 200 litri d’acqua, dei cannoni (shooters) che ricreano l’effetto dell’onda che s’infrange contro i bordi della piscina. In tutto questo, Elio Germano recitava. Abbiamo costruito un sistema illuminante che dava l’impressione di una diffusa lunare, sfruttando una grande quantità di luce in modo da illuminare in modo omogeneo l’intera piscina. In più, abbiamo anche usato un particolare proiettore lighting strike da 70 kw per ricreare i fulmini. Possiamo dire che la grandiosità dell’idea dell’ingegnere protagonista è sottolineata nel film dalle riprese dall’alto e dai campi lunghi delle inquadrature. Allo stesso modo, la tensione del momento del bombardamento (nel finale) è enfatizzata dal contrasto tra riprese dall’alto e primi piani dei volti dei personaggi, ma anche dalle figure intere, nel momento in cui si prendono per mano per fronteggiare il nemico. Narrativamente, quel momento doveva raggiungere un livello epico. Le inquadrature larghe, a mio parere, aiutano tantissimo per conferire quella sensazione. Sono tutte inquadrature realizzate con un dolly piazzato sulla piattaforma in mezzo all’acqua per dare la sensazione della distanza reale. Anche il fatto di cambiare la prospettiva, la macchina da presa tende sempre a scendere per inquadrare gli attori dal basso, dall’acqua: un modo per rendere l’inquadratura ancora più epica. Il contrasto ovviamente poi lo ottieni coi primi piani, per raccontare lo stato emotivo dei personaggi.

Alla luce delle esperienze precedenti (L’Ordine Delle Cose, Metti La nonna in Freezer, Succede, Amori che non sanno stare al mondo), e la serie Gomorra, che valore assume quest’ultima esperienza?

Valerio Azzali : L’incredibile storia dell’Isola delle Rose è stato un lavoro importantissimo. C’era un’importante gestione degli effetti speciali. Era una sfida, per me. Inoltre, erano presente anche degli impianti rilevanti, cinematograficamente parlando. Bisognava gestire molte comparse, molti attori, set enormi illuminati anche di notte.

Avete girato molte scene di notte. Giusto?

Valerio Azzali : Sì, esatto. Il film ha anche molte scene in esterno giorno. Nella mia indole, la notte, fotograficamente, si riesce a controllare molto meglio. Di giorno, invece, il sole si muove. Nel caso della scena in cui arriva la motovedetta della guardia costiera che pensa che la trivella sia un’antenna radiofonica. Quella scena durava un’intera giornata di riprese. La mia soluzione, in quel caso, è stata "flippare" la scenografia. La mattina abbiamo girato i campi verso il mare e il sole colpiva il lato destro degli attori. Poi siamo andati in pausa e il pomeriggio abbiamo girato completamente la trivella ed il resto della scenografia, gli attori erano rivolti verso terra continuando a mantenere il mare sullo sfondo ma il sole colpiva sempre il lato destro della guancia degli attori. Ho avuto anche la fortuna di avere una produzione che mi sostenesse, anche economicamente. Una cosa che mi rende orgoglioso è il fatto che, guardando tutti i miei film, si scorge uno stile unico ma poi fotograficamente son tutti molto diversi. Per me, la fotografia deve essere ideata per ogni singolo progetto. Assolutamente. Poi questo era un film particolarmente ricco di ambienti e nonostante volessi creare una continuità ispirandomi alla pellicola dell’epoca, volevo contraddistinguere tre ambienti fondamentali. Volevo rendere quelli barocchi degli interni del Consiglio dei ministri a Roma un mondo a sé stante tra colori caldi ma anche acidi tendenti al giallo-verde, in contraddizione, anche concettualmente, con quello all’aperto dell’isola, luminoso e colorato; il terzo mondo era quello a Strasburgo che invece è stato caratterizzato da una temperatura colore molto fredda, in quanto doveva essere differente rispetto l’Italia.

Una scena molto suggestiva è quella in cui Elio Germano e Matilde De Angelis sono in cinema.

Valerio Azzali : Il film che guardano è ovviamente in bianco e nero: La Notte Dei Morti Viventi di George A. Romero. Volevo che i riflessi sugli attori avessero un tono freddo, però, per creare una sensazione accogliente, ho utilizzato anche il rosso. Ho ricreato forti contrasti, anche perché ho caratterizzato Bologna col colore caldo della luce al sodio, quell’arancione forte, tipico dell’illuminazione stradale di una volta che attualmente è stata invece sostituita dalla luce a LED. Per l’effetto della proiezione, laddove la luce trema alle spalle degli attori, abbiamo sfruttato un rullo vuoto e abbiamo attaccato dei negativi in bianco e nero scattati da me tempo prima e che facevamo girare meccanicamente davanti alla luce.

Grazie mille per questa bella intervista.


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