ALLE PORTE DELLA CITTA’

Inerpicandosi dalla Piazza Ganganelli sul Colle Giove dove sorge il borgo medioevale, attraversata Piazza Molari, su per le scalinate fino a Piazza delle Monache dov’è l’ingresso ad un ipogeo tufaceo (sono circa duecento in tufo e arenaria e costituiscono il reticolo di cunicoli e livelli di una Santarcangelo underground, i cui ambienti forse erano destinati in origine al culto pagano e durante la seconda guerra mondiale utilizzati per il rifugio degli abitanti), in direzione della Rocca Malatestiana, prima di un bellissimo scorcio sui tetti, si trova sulla sinistra la Celletta Zampeschi, costruita nel XV sec., distrutta durante la guerra, ricostruita dalla Società Operaia del Mutuo Soccorso, che ora ne ha concesso lo spazio al Festival dei teatri. Lì ha luogo Alle porte della città. una stanza di solo ascolto della memoria del lavoro a cura di Ascanio Celestini: un montaggio di storie sulla base di tre anni di ricerca da lui condotta sul mondo del lavoro e circa 200 ore di registrazioni che lo hanno portato a costruire una sorta di trasmissione radiofonica divisa in 5 parti/puntate (ognuna di circa 50 minuti) che è possibile ascoltare qui dal vivo proprio come la radio, in modo ugualmente “libero”, nelle sere del Festival, dalle 17 alle 20, a ciclo continuo. Così i complessivi 94 frames sonori di contadini/e, operai/e e minatori, montati con 63 interventi della voce narrante di Celestini “scorrono” il racconto che parte da alcune immagini e ne crea altre. Davanti ai due alti finestroni rettangolari spalancati sull’azzurro, dietro alla Chiesa della Collegiata, in una fresca sala a pianta regolare dalle pareti in pietra ricoperte da attestati di benemerenza della Società Operaia, da una foto del Maestro Giulio Faini, originario di Santarcangelo, “corno prediletto da Toscanini”, alcune file di sedie in legno ospitano i viaggiatori del teatro per un tempo non prefissato, ma in uno spazio predefinito e con un fine preciso: ascoltare le immagini. Quelle, ad esempio, dell’operaio di Buti che lavorava alla Piaggio di Pontedera e che prima costruiva i corbelli (i cesti di castagno), che si definisce “scarsamente politico, un idealista” e racconta degli anni ’50, della lotta tra la lambretta e la vespa (che prevalse), progettata da un ingegnere aeronautico (la parte laterale ricordava il carrello di un aereo), novità per la “seduta” (anche le donne in gonna potevano portarla), dell’Ape (che per gli operai fu la vera novità); o di Anna, ricamatrice per quindici anni a 60 lire, le cui maglie le occupavano la casa (la doccia) e che ha vissuto una vita sempre col sonno (“ho dormito proprio poco”) lavorando molte ore la notte alla macchina del puntino. E accade spesso che la cultura contadina mostri la necessità di confrontarsi con altri universi per definirsi, rivelando quindi un’identità mista: operai, o minatori, che lavoravano per turni e poi svolgevano lavori nei campi a seconda della stagione, oppure a bottega. Scorrono identità divise a metà, unite nella logica comune del Lavoro. Spesso chi ha partecipato ai suoi laboratori dice che ogni volta che racconta ri-vede ciò che esprime poi con le parole: quelle parole nascono dall’immagine, sono lingua costruita per immagini. La voce perciò, evocando l’oggetto (concreto) privato del suo corpo, compie un’azione che rende visibile nella mente del fruitore l’immagine; gli inserti del “narratore” Celestini, montati con i brani musicali, le canzoni o le sonorità della fabbrica, del lavoro, o agresti registrate in suono-ambiente, confermano in tal senso la loro natura di scrittura per immagini che non sovrascrive mai quella principale, evocativa, essendo costituita di “parole che accadono” e costruisce un corpo sonoro che è a sua volta proiettore d’immagini e dotato di ritmo autonomo, organico con la propria origine, in tal senso, unico. Nella mente di chi ascolta, reso in questo modo testimone, nascono, fioriscono, si tramandano, le immagini della nostra memoria collettiva: vera, quindi, in quanto autentica è la necessità che fonda l’istanza narrativa della testimonianza orale, sorgente di quelle immagini.
La tradizione, nel teatro di Celestini, prende le forme della tessitura viva della memoria a cui (oggi potentemente ignari) apparteniamo: è il nucleo del suo “valore”.
[luglio 2003]
a cura di Ascanio Celestini
produzione: XXXIII Festival Santarcangelo dei Teatri, all’interno del progetto Memoria e presente. Per un teatro politico realizzato con CGIL nell’ambito delle manifestazioni per il Centenario e grazie alla collaborazione della Camera del Lavoro di Rimini
