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Americana - Aiutami Hope!

Pubblicato il 6 aprile 2011 da Viviana Eramo


Americana - Aiutami Hope!

Ad un solo anno dall’inaspettata cancellazione di My name is Earl, Greg Garcia si prende la rivincita con un nuovo show, la cui prima stagione è stata una delle poche, in questa difficile annata, ad essere confermata dalla Fox, grazie all’ottimo risultato di ascolti oltreoceano. Aiutami Hope! (infedele adattamento del titolo originale Raising Hope), in onda su Fox anche qui da noi, riesuma con rinnovato entusiasmo la formula alla base del precedente lavoro di Garcia. Proprio come in My name is Earl, infatti, più volte citato come in una sorta di doveroso e scanzonato omaggio, Raising Hope è la storia del riscatto di un’esistenza non proprio notevole, sullo sfondo della provincia americana, popolata dalla low class. Al posto del disgraziato delinquente Earl e del suo progetto di vita zen, troviamo il venticinquenne Jimmy (Lucas Neff) alle prese con la figlioletta avuta in seguito ad un momento di passione con una serial killer. La bebè ben presto si ritroverà orfana di madre (condannata sulla sedia elettrica dall’irreprensibile giustizia americana), ma il nostro Jimmy, stufo di una vita senza passioni né obiettivi, prenderà a cuore figlioletta e paternità. Peccato che, proprio come succedeva nel microcosmo di Earl, Jimmy sia attorniato da una serie di pazzi scatenati: mamma e papà (Martha Plimpton e Garret Dillahunt) di certo non sono i genitori perfetti e la nonna (Cloris Leachman) alterna rarissimi momenti di lucidità ad un perenne stato di confusione mentale.

Ovviamente il tutto è lontanissimo dall’assumere contorni drammatici, per sposare, viceversa, la bizzarra comicità marchio di fabbrica di Greg Garcia. Aiutami Hope!, infatti, mantiene quello sguardo briccone e scanzonato, ma mai privo di sana partecipazione, che Garcia posa sui suoi reietti personaggi. Se il clan di Earl era assortito sulla base di palesi affinità elettive, qui al centro delle vicende è proprio una famiglia sui generis, le cui relazioni e la cui convivenza sono, prima di ogni altra cosa, obbligate. Il cuore strutturale di Aiutami Hope! risiede, probabilmente, proprio nei difficili, spesso instabili, di sicuro incancellabili, rapporti familiari. È per questo motivo che il racconto si fa più corale rispetto a quanto avveniva nel precedente lavoro, dove il protagonista era maggiormente delineato, conferendo al tutto toni, per certi versi, più intimistici. Qui, invece, Garcia tenta di costruire un puzzle variegato di personaggi, tra i quali il protagonista è forse (volutamente) il meno interessante. Nell’ansia di raccogliere tutto senza farsi sfuggire nulla, il risultato della prima parte della serie è piuttosto deludente. Il gioco messo in piedi, pur ripercorrendo le orme di Earl, è decisamente meno incisivo, soffrendo molto la tensione verso un gusto per il sovvertimento delle regole e della convenzionalità mai in grado di esserlo fino in fondo e patendo, viceversa, uno schematismo che mal si sposa con i toni della serie. Non che Aiutami Hope! manchi di originalità in questa prima parte, anzi, spesso si ha la sensazione che abbia perso addirittura il senso della misura, ottenendo più che una risata caustica, il sospetto che questa famiglia atipica e disastrata sia una forzatura, di cui, in fondo, non si riesce a vedere la necessità. A ciò si aggiunga l’evidente disegno drammaturgico che cerca di far rientrare il tutto in uno standard prestabilito, alternando ai tentativi educativi di Jimmy le altrettanto zoppicanti iniziative dei due genitori, raccontati con buona sintesi in fulminei flashback. Come se non bastasse, il filo del discorso è tenuto insieme da una voce narrante che, alla fine dell’episodio, spiega propositi e morale.

Non è un caso, allora, che dopo il fisiologico rodaggio della prima parte, la serie costantemente alzi il suo livello, proprio abbandonando schematismi, affinando strumenti e approfondendo ragioni d’esistere. Non lo fa certo perdendo la propria irriverenza, piuttosto il sarcasmo si fa improvvisamente multistrato, affondando le mani da una parte nei tic tipici della famiglia (americana), dall’altra riuscendo, in piccola scala, a riflettere su temi importanti. La responsabilità (genitoriale), la sensibilità civica, la reputazione pubblica sono solo alcuni dei grandi contenitori che la serie, con passo leggero e mai semplicistico, arriva più volte a sfiorare, con esiti spesso esilaranti. Così l’episodio sul ‘Thanksgiving day’ (1x09) è un modo per mettere in discussione la più feconda e rispettata delle tradizioni americane, quello che vede Earl/ Jason Lee interpretare una rock star ormai in declino, un espediente per prendersela con lo star system (1x10). E non mancano meccanismi maggiormente autoreferenziali come nell’episodio Romeo and Romeo(1x12), dove il tema dell’amicizia al maschile è un archetipo tutto da giocare, o come in Germ of a story (1x13) dove la fobia per i germi è l’occasione per un omaggio a C.S.I. I tempi comici si fanno allora più scoppiettanti, i significati si moltiplicano, le ragioni per ridere si centuplicano. Ed è una risata piena, sostanziosa che deriva da un gioco che si spinge sopra le righe, confermando costantemente l’adorabile pazzia di una famiglia quanto mai scapestrata, che tira avanti proprio perché unita nel profondo.


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