Americana - Glee

La rivincita dei nerd continua. Dopo aver sopportato anni di soprusi e beffe pare infatti che il popolo dei nerd abbia definitivamente preso il potere, almeno nel mondo della serialità americana. L’universo si capovolge, la scala sociale si ribalta, quelli che una voltano erano gli invidiati beffeggiatori vengono messi alla berlina per la loro scarsa intelligenza e profondità d’animo. Questo è il mondo del Glee Club.
L come loser, perdenti. Un marchio infamante che accompagna le vite di Rachel, Kurt, Artie, Mercedes e Tina. Cinque ragazzi che, per ragioni diverse, vivono nel “sottoscala” sociale di un college di provincia americana. Non parlano, non comunicano, vivono sui social network sognando una vita diversa da quella reale. In sostanza, non esistono. Eppure Rachel, Kurt, Artie, Mercedes e Tina hanno un dono, il canto. C’è chi ha una grinta da hard rock, chi la voce aggraziata da classico di Broadway, chi un profonda e vibrante anima soul. Poco importa se il loro talento non vale nel triste mercato della popolarità del college. Poco importa se il Glee Club porta nel suo stesso nome la L della vergogna perché, come ricorda lo stesso Finn Hudson, “siamo tutti degli sfigati in questa realtà”. In un modo così non ha poi molto senso vivere ai piani alti o nello scantinato. Chi non riconosce questa evidenza è solo un ingenuo, o peggio, uno sciocco. Eccola la scintilla, l’innesco che porta all’inevitabile stravolgimento degli equilibri sociali, la molla che porta lo stesso Finn, quarterback bello e vincente, ad entrare nel sfortunato Glee Club.
Diversamente da molte altre serie dello stesso genere la vita del college di Glee non è l’inferno in terra raccontato in Buffy. Gli scherzi, anche quando pesanti, si riducono a burlesque, pretesto per una sonora risata. Nonostante siano ridotti a isolata minoranza i protagonisti di Glee non vivono infatti la solitudine straniante tipica di molti teen drama. Il loro non è un grido disperato di aiuto ma un gioioso canto. Le diversità, i problemi, gli scontri perdono la loro aura tragica e si perdono nelle sfondo, banale fondale di una divertente coreografia.
Ancora una volta il teen drama è territorio di sperimentazione formale oltre che specchio del reale. Glee è infatti l’ennesimo straordinario caso di contaminazione di generi, di ibridazione fra canoni e idee di forme narrative diverse. Come già sperimentato in passato la tv è in grado di prendere a piene mani dalla riserva protetta dei generi classici cinematografici per aggiornarli e trasformarli. Glee è prima di tutto un musical. Spezzato lungo le puntate di una serie e abilmente contaminato dagli elementi caratteristici di un classico teen drama la serie di Ryan Murphy mantiene intatta la sua natura di musical. Il risultato è un amalgama perfetto, un impasto in cui non si è più in grado di riconoscere i singoli ingredienti pur percependone nettamente il gusto. Già nel 2001, con l’episodio Buffy #6.07, Once more with feeling, Joss Whedon aveva dimostrato quanto anche un genere complesso come il musical fosse perfettamente adattabile agli schemi e ai ritmi del piccolo schermo. Oggi Glee completa questo assunto. Chissà se un prodotto con caratteristiche tanto particolari reggerà alla prova del tempo. Quel che è certo è che la tv, più di qualsiasi altro strumento, si dimostra ancora il media più aperto e sperimentatore. Mentre il web e i new media stanno a guardare...
